(7 novembre 2023) Con la legge che l’Emilia-Romagna propone alle Camere, approvata in Assemblea, chiediamo al governo di garantire 4 miliardi all’anno per cinque anni sul Servizio sanitario nazionale, ovvero di restituire il diritto alla salute a milioni di cittadini e cittadine. Dopo la pandemia è urgente investire e riqualificare la sanità pubblica, mentre il Governo sta puntando sul sistema privato. L’11 novembre saremo in piazza, a Roma, anche perché senza sanità universalistica non ci può essere un futuro più giusto. Oggi prima del voto in Aula, abbiamo tenuto un presidio davanti alla nostra sede, dove abbiamo spiegato i motivi della nostra legge e della mobilitazione che coinvolge tutte le opposizioni.
Una conseguenza odiosa della fragilità economica in crescita è la “povertà sanitaria”: sempre più persone nel nostro Paese non hanno accesso alle cure pubbliche perché le attese sono diventate eccessive e non possono permettersi di pagare servizi privati. Ben 5 milioni di nostri concittadini e concittadine non hanno potuto curarsi nell’ultimo anno e una famiglia di medio reddito su sei, attaccata dall’inflazione, risparmia proprio sulla spesa per la salute. La tendenza all’impoverimento sanitario è globale e quel 30% di popolazione mondiale che un anno fa l’OMS accertava essere esclusa dai servizi sanitari essenziali è in forte aumento a causa di guerre e catastrofi umanitarie. Gli Stati, tutti gli Stati, dovrebbero investire sulla Sanità pubblica, universalistica e territoriale per una questione di minima giustizia sociale e per non perdere “capitale umano”, portando la mole di risorse sul servizio sanitario nazionale almeno al 7,5% in rapporto al PIL. Le stime calcolate in Italia parlano di un rapporto del 6,4% sul Pil e in peggioramento, ben sotto la soglia di sostenibilità. Quattro miliardi all’anno per i prossimi cinque anni permetterebbero di raggiungere questa soglia mettendo in sicurezza il sistema.
Alle destre che – anche oggi in Aula – sbandierano gli oltre 3 miliardi aggiuntivi messi dal governo Meloni in manovra finanziaria, rispondiamo che arrivano a coprire per un anno stabilizzazioni e adeguamenti in busta paga attesi da tempo, ma di certo non aggiungono niente, anzi tolgono, non salvaguardando un sistema pubblico in grande sofferenza a causa dei costi della pandemia mai rimborsati dallo Stato e del rincaro dei costi energetici e inflattivi. Molte Regioni non riusciranno per questi motivi a chiudere in pareggio il bilancio sanitario di fine anno. Solo se strutturale e adeguata, la dotazione del Fondo sanitario nazionale può sciogliere il nodo delle professionalità mediche e infermieristiche che mancano e si stanno allontanando dal pubblico. La nostra legge prevede la rimozione del tetto di spesa per le assunzioni nella sanità pubblica, riteniamo infatti che per accorciare le liste di attesa occorre assumere nuovi medici ed infermieri nel Servizio Sanitario nazionale; le destre invece affidano la soluzione del problema alla sanità privata, a cui danno 600 milioni in più per farsene carico. Peccato che la sanità privata integrativa non abbia gli obblighi di quella pubblica a cominciare dall’erogazione dei LEA e possa selezionare pazienti e prestazioni. Peccato anche che il Governo Meloni abbia tagliato dal PNRR i progetti di case e ospedali di comunità che sono l’ossatura della sanità territoriale. La verità è che le destre al governo si guardano bene dal qualificare il lavoro dei professionisti pubblici, perché guardano altrove.
Questa nostra proposta di legge rivolta alle Camere (una prerogativa delle Regioni che è in Costituzione) ha già imposto nel dibattito politico il tema dell’erosione del Servizio sanitario nazionale causato in particolare dal suo sottofinanziamento. “Curare” la Sanità pubblica e mantenerla attrattiva per il personale medico è indispensabile, per dare risposte strutturali e speranza a tante persone che non fanno più controlli e terapie perché le liste d’attesa sono troppo lunghe, le esenzioni sempre più risicate e il loro reddito insufficiente per cercare soluzioni privatistiche. Moltissimi sono gli incontri che si stanno svolgendo sui territori, promossi assieme ai Comuni e con rappresentanti delle Ausl e Sindacati, che appoggiano l’iniziativa della Regione e chiedono con forza una cosa sola: non privatizziamo la sanità!
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