(21 novembre 2022) Ad un anno dalla morte di Juana Cecilia Loayza, uccisa dall’ex partner a Reggio Emilia, le Donne dello SPI-Cgil reggiano hanno promosso un convegno importante, per fare il punto sugli strumenti in campo contro la violenza di genere. Con me il Presidente vicario del Tribunale di Milano Fabio Roia, la Presidente Associazione Nondasola Federica Riccò, la Responsabile nazionale Coordinamento Donne SPI CGIL Mina Cilloni.
Il fatto che il femminicida di Juana Cecilia (purtroppo al pari di altri che hanno tolto la vita a donne che dicevano di amare) fosse libero grazie al patteggiamento dopo una condanna per stalking, impone non solo riflessioni ma una stretta determinata sulle modalità con cui il nostro sistema di Giustizia tutela e protegge le donne che denunciano. I numeri delle vite spezzate per possesso ci dicono che questo sistema ha delle falle. In Italia da inizio 2022 su un drammatico totale di 104 donne uccise, 88 sono vittime di femminicidio in ambito affettivo o familiare. 52 donne hanno visto come carnefice il partner o l’ex. (Fonte del Viminale) Una parte significativa di loro poteva essere meglio protetta e forse salvata. Ecco perché, insieme, dobbiamo ribadire il nostro NO alla vittimizzazione secondaria, cioè prima di tutto ai pregiudizi, agiti anche nelle aule giudiziarie, che si traducono in una seconda violenza o nella sottovalutazione dei rischi. E insieme, con maggiore consapevolezza anche grazie all’azione culturale della Rete nazionale e regionale dei Centri antiviolenza, dobbiamo agire in modo coordinato affinché gli ammonimenti per violenza domestica o atti persecutori e i percorsi di trattamento nei CUAV degli uomini autori di violenza siano efficaci rispetto all’obiettivo vero e prioritario: proteggere le ragazze, le donne, i minori minacciati.
Consapevolezza diffusa e integrazione delle misure stanno alla base della strategia che serve e che, pur gradualmente, si sta finalmente affermando con il coinvolgimento attivo e la formazione delle istituzioni preposte, a cominciare da forze dell’ordine e Magistratura. Protocolli oggi operativi nelle Questure consentono un monitoraggio costante delle situazioni più a rischio, una maggiore vigilanza degli uomini violenti. La strada va percorsa fino in fondo e non a macchia di leopardo. Ricordiamolo sempre, le donne devono trovare un sistema che funziona a loro difesa per trovare il coraggio di denunciare, di allontanarsi dai persecutori.
A proposito di consapevolezza, l’Osservatorio regionale istituito dalla legge quadro per la parità ci supporta nell’aggiornare le politiche in base alla realtà. Proprio mentre tenevamo il Convegno alla Camera del Lavoro, sono stati divulgati gli ultimi numeri del rapporto annuale, in vista della Giornata internazionale del 25 novembre. Si conferma il dato che la violenza avviene prevalentemente nell’ambito di relazioni familiari ed affettive: per il 62% delle donne accolte dai 22 Centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna l’autore delle violenze è il partner. Nel 15,6%, come nel caso di Juana Cecilia, l’ex partner. In Emilia-Romagna, nel 2021, 4.934 donne hanno contattato un Centro antiviolenza: oltre 300 in più rispetto alle 4.614 del 2020. Mentre sono 1.667 le chiamate al numero 1522 del Dipartimento nazionale per le pari opportunità, di cui 994 da parte di donne vittime di violenza o stalking. In crescita anche le donne ospiti di Case rifugio, in prevalenza straniere (320 nel 2021) e quelle accolte in un Centro antiviolenza: 2.646 (2.335 nel 2020). Una prima anticipazione sul 2022, limitata ai 16 Centri del coordinamento regionale, rivela che tra gennaio e maggio hanno preso contatto con un Centro 1.749 donne, mentre le chiamate al 1522 sono state tra gennaio e marzo di quest’anno 370. La piaga sociale e culturale della violenza di genere si conferma nella sua strutturalità, che richiede un lavoro congiunto di istituzioni giudiziarie, centri antiviolenza, forze dell’ordine e agenzie educative per prevenire e combattere in maniera efficace una violenza che non deve essere un destino per nessunə.
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