(14 settembre 2022) “Giovani e donne: dire lavoro non basta più” è il titolo di un’iniziativa cui ho partecipato alla Festa dell’Unità di Bologna, occasione per confrontarci sulle politiche (attive) che servono a incrementare formazione e occupazione di qualità e superare antiche e nuove marginalità sociali.
Abbiamo affrontato il tema del lavoro povero e della precarietà da contrastare, delle opportunità da offrire ai “Neet” (giovani che non studiano e non lavorano, quasi il 20% anche in Emilia-Romagna) e della segregazione occupazionale di donne e ragazze che devono essere incentivate a mettersi alla prova in discipline che si traducono in competenze richieste dal mercato e ben remunerate. Perché è inaccettabile che il divario salariale di genere in Italia si attesti su una media del 30% e che sulla partecipazione allo sviluppo economico, a livello europeo l’Italia sia 25esima su 35 Paesi secondo l’ultimo rapporto “Global Gender Gap Index” del World economic Forum. L’obiettivo della parità di retribuzione tra i generi è sancito dall’articolo 157 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea – ma le destre hanno votato contro nella scorsa primavera alla direttiva in merito – mentre, numeri alla mano, il divario tra quanto guadagna un uomo e una donna continua a registrare forti differenze tra i 27 Stati membri. In Italia il gap va colmato con determinazione, prima di tutto applicando la Legge Gribaudo in ogni sua parte con il coinvolgimento delle imprese e delle associazioni datoriali oltre che sindacali.
Abbiamo evidenziato le risorse e gli strumenti in campo a livello sia regionale – come il Programma GOL per l’occupabilità dei ragazzi e delle ragazze e dei fragili, l’agenda digitale declinata contro gli stereotipi di genere – sia nazionale, dove le condizionalità trasversali per l’occupazione giovanile e femminile nel PNRR sono state un punto di partenza, anche culturale, necessario e non sufficiente. E’ infatti evidente che occorre una nuova consapevolezza dal basso in grado di accelerare la trasformazione culturale, sociale, economica e istituzionale utile al cambio di paradigma. Quel cambio di paradigma che mette al centro il sostegno alla maternità per far sì che la maternità non sia più ostacolo e causa di divario lavorativo, salariale e pensionistico. Non solo per incentivare il lavoro femminile di qualità ma ad esempio, sui congedi parentali e per i/le caregiver, sul piano per i servizi all’infanzia finanziato con il Pnrr, le Donne Democratiche e il PD hanno prodotto passi avanti di equità, sempre osteggiati da FDI.
In una recente lettera di risposta a Polito sul Corriere della Sera, Giorgia Meloni, dopo aver liquidato la democrazia paritaria e le norme di riequilibrio della rappresentanza come “concessioni” e “strapuntini”, parla di diritti delle donne e conciliazione vita-lavoro senza fare nessuna proposta di merito. Non una. La destra parla di lavoro, en passant di lavoro femminile solo se richiesta, senza riconoscere l’urgenza di colmare le diseguaglianze più profonde che tolgono dignità, opportunità personali e sviluppo collettivo. Del resto, le destre sono tentate dal quoziente familiare e da incentivi alle donne per non lavorare, avendo come modello l’Ungheria di Orban. E nascondono l’arretratezza delle loro posizioni dietro al “merito”. Noi siamo per sfatare il mito della meritocrazia priva di pari opportunità di partenza. Tutti e tutte devono essere messi nelle condizioni di coltivare e mettere a frutto il loro talento. Ecco perché dire lavoro non basta.
Inserite in un quadro organico e coerente, QUESTE LE PROPOSTE PROGRAMMATICHE DEL PD PER I GIOVANI
E QUI IL PROGRAMMA PER LA PARITA’ OCCUPAZIONALE E DEMOCRATICA
Grazie infine, in particolare, a Mirko Billi per le domande, a Francesca Puglisi e a Stefano di Lorenzo, segretario dei Giovani Democratici, per l’impegno.
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