(16 novembre 2021) L’anno scorso in Emilia-Romagna, le dimissioni volontarie dal lavoro di lavoratrici madri e lavoratori padri con figli fino ai 3 anni sono state 4.174 (il 9,8% sul totale nazionale, pari a 42.377) e di queste quasi i tre quarti hanno riguardato donne: 2.984 a fronte delle 1.190 riguardanti gli uomini. Se il numero totale delle dimissioni è sceso rispetto al 2019 (5.447), resta in misura predominante il recesso delle lavoratrici madri, pari al 71% dei casi, dato in aumento di 3 punti percentuali. È il quadro tracciato dall’Ispettorato interregionale del lavoro del Nord Est in un anno, il 2020, in cui il mercato del lavoro in generale, quello femminile in particolare, è stato particolarmente penalizzato dalla pandemia, nel corso della conferenza stampa organizzata in Assemblea Legislativa insieme alla Consigliera regionale di Parità Sonia Alvisi.
Non vi è dubbio sui motivi che portano a questi numeri. Vanno perciò messe in campo politiche più puntuali e stringenti di welfare per permettere alle donne di conciliare il lavoro con la cura della famiglia. Quello dello squilibrio nel lavoro di cura non è un problema delle donne ma propriamente sociale, che richiede interventi pubblici finalmente adeguati. In questo senso è una buona notizia lo sblocco del fondo nazionale per i caregiver, con 5,3 milioni ed altre risorse regionali che impiegheremo in Emilia-Romagna a supporto delle caregiver lavoratrici. Ma incentivare le pari opportunità di carriera e la dignità del lavoro femminile è una priorità anche nell’ottica di una lotta sistemica alla violenza contro le donne. Il Piano triennale dell’Emilia-Romagna per il contrasto della violenza di genere contribuirà ad attuare la Convenzione Oil 190/2019 sulle discriminazioni e molestie nel mondo del lavoro, per contrastare forme di abuso attraverso una più forte sinergia tra Regione, Ispettorato del lavoro, Consigliera di Parità ma anche Aziende sanitarie, Sindacati e Associazioni di categoria per un efficace monitoraggio e per valorizzare le buone prassi.
Che le dimissioni non siano “volontarie” lo dimostra la stessa analisi dell’Ispettorato. Mentre, infatti, per i padri lavoratori nella maggior parte dei casi si tratta di una scelta legata al cambio di azienda (957 uomini contro 896 donne), per le lavoratrici madri le ragioni delle dimissioni sono legate soprattutto alla difficoltà di conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze di accudimento dei figli o per ragioni legate ai servizi di cura connesse alla mancata concessione di flessibilità oraria o del part-time (2.137 casi di donne contro 65 di uomini). Se il punto di osservazione si sposta sull’età dei lavoratori e delle lavoratrici, in Emilia-Romagna, emerge una particolare concentrazione nella fascia di età da 34 a 44 anni, pari a 1.788, sostanzialmente invariato, sia in termini assoluti che percentuali sul totale, rispetto all’anno precedente.
Proprio oggi arriva dall’Unione Europea la notizia che l’Emilia-Romagna risulta la regione italiana in cui le donne possono contare su migliori opportunità di vita e lavoro. Lo riscontra uno studio di ricerca della Commissione Europea. Si tratta di un risultato che ci conforta sulla bontà del lavoro integrato per la parità fatto finora, però non è di classifiche che abbiamo bisogno. La strada da fare per l’emancipazione femminile è ancora lunga e, come la crisi pandemica ci ha dimostrato, nessuna comunità è esente da arretramenti di cui le donne pagano il prezzo più alto.
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