(7 ottobre 2021) Una domanda importante e un convegno a cui ho preso parte assieme ad esperti, rappresentanti parlamentari e delle istituzioni regionali, del Servizio Sanitario Nazionale, degli ordini professionali e delle società scientifiche. La risposta concreta, in termini di avanzamento dell’approccio di genere nelle diagnosi, nelle cure, nella ricerca farmacologica, è stata rallentata dall’emergenza sanitaria Covid ma il Piano nazionale per la diffusione della medicina di genere sta producendo cambiamenti da cui non si torna indietro. Prima di tutto perché certi e indubbi, sotto il profilo scientifico ed empirico, sono i suoi impatti positivi sulla salute femminile e maschile, cioè sull’appropriatezza dei trattamenti e sull’efficacia degli strumenti di prevenzione.

La medicina di genere è entrata quale obiettivo della Sanità della Regione Emilia-Romagna con la legge quadro per la parità e contro le discriminazioni di genere (L.R. 6/2014), ovvero prima che la Legge Lorenzin e il Piano nazionale vedessero la luce. Il Piano sociale e sanitario regionale, che stiamo aggiornando per il prossimo triennio, rafforzerà l’approccio a livello territoriale puntando a realizzare, con maggiore uniformità, i tre pilastri necessari: la formazione professionale degli operatori sociosanitari (compresi i medici di base e il personale nei Consultori) unita ad una ricerca medica e farmacologica applicata, la diffusione di una cultura orientata sia alle differenze che alla prevenzione e, non da ultimo, una organizzazione dei servizi e delle strutture fondata sulla multidisciplinarietà e integrazione dei percorsi diagnostici-terapeutici.

La personalizzazione della cura è l’obiettivo che sta dentro alla Medicina equity and gender oriented. Tutta la riorganizzazione delle strutture sanitarie e delle competenze assistenziali che la Regione sta portando avanti negli ultimi anni va in questa direzione, che fa il paio con uno sviluppo dell’accessibilità e della prossimità dei servizi. La pandemia non ha fatto che avvalorare questa impostazione personalizzata, che permea – e dovrà potenziare – la rete territoriale. Come stabilisce l’art. 11 della legge quadro per la parità “nell’ambito della pianificazione della rete territoriale dei servizi si tiene conto della medicina di genere al fine di rafforzare i servizi di prevenzione e promozione del benessere e della salute femminile, nella logica di promuovere l’equità, ridurre le disuguaglianze e favorire il rispetto delle differenze nella programmazione, nella formazione, nell’accesso e nella fruizione dei servizi.”