(27 aprile) La violenza di genere e il percorso che le donne affrontano dopo l’allontanamento dalla relazione violenta è tornato al centro del dibattito in Assemblea Legislativa con l’approvazione di un atto di indirizzo del Partito Democratico. Sappiamo bene come l’occupazione, l’autonomia economica e più in generale la condizione femminile abbia risentito drammaticamente della crisi legata alla pandemia, così come le richieste di aiuto per violenze domestiche – già prima del Covid in costante aumento di circa 5% l’anno – siano cresciute ovunque presso i centri antiviolenza regionali. Discriminazioni o abusi, mancanza di opportunità lavorative e di reddito dovuta alla crisi o causata da un rapporto “malato” con un uomo che nega la loro autonomia economica, tengono di fatto sempre più donne in una posizione sociale subalterna.

La Risoluzione approvata, a prima firma della collega Nadia Rossi, sollecita la Giunta ad una presa in carico sistemica delle donne che hanno (o avrebbero) il coraggio di denunciare e allontanarsi da un compagno violento, ma che non hanno mezzi sufficienti per sé e per i propri figli. A loro va garantito un supporto pubblico che le accompagni per ogni necessità e in ogni fase del difficile percorso di emancipazione. Il reddito di libertà è in questo senso uno strumento utile, in ottica di prevenzione di violenze e femminicidi e di sostegno all’autodeterminazione femminile. Quale risposta agli effetti della pandemia e proprio per favorire l’indipendenza economica delle vittime di violenza, il decreto “Rilancio” del 19 maggio 2020 aveva istituito il “Fondo nazionale per il reddito di libertà”, rifinanziato nella legge di Bilancio per il 2021. Si attende però ancora il decreto attuativo per la ripartizione delle risorse tra le Regioni. Regioni che stanno prendendo l’iniziativa in ordine sparso: Sardegna e Lazio l’hanno istituito, se pure con modalità diverse, altre come la Calabria hanno in cantiere una proposta di legge.

In Emilia-Romagna le donne vittime di violenza possono contare su servizi, tutele e diritti sanciti dalla legge quadro per la parità 6/2014, coordinati in modo solido e continuativo. Grazie in particolare al ruolo riconosciuto dei centri antiviolenza e di un associazionismo femminile consapevole, con il coinvolgimento dei Comuni e l’affinamento di strumenti quali l’Osservatorio e il Piano regionale per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere, abbiamo implementato negli anni misure adeguate a sostenere non solo il sistema di accoglienza e assistenza, ma anche i percorsi di autonomia abitativa e lavorativa di donne in difficoltà, con attenzione specifica per le madri con figli a carico. Oggi la situazione di crisi richiede un’attenzione in più, per scongiurare gli ormai noti rischi di arretramento e di subalternità femminile dentro e fuori le mura domestiche. Oggi anche le politiche regionali devono unire lungimiranza ad urgenza e grande concretezza. Per questo chiediamo che ogni impegno di empowerment e pari opportunità già assunto dalla nostra Regione – a cominciare dal Women New Deal in Bilancio e nel Patto per il Lavoro e il clima – si traduca in sostegno effettivo e accessibile. E che il nuovo Piano triennale per il contrasto alla violenza porti a sistema, con adeguati finanziamenti, misure efficaci di autonomia, libertà, autodeterminazione.