(25 marzo) La Commissione Parità prosegue gli approfondimenti e l’ascolto della società regionale, propedeutici al piano di interventi Women New Deal per un rilancio strutturale dell’occupazione femminile di qualità. Oggi abbiamo sentito dati e proposte delle associazioni datoriali: Alleanza della Cooperative Italiane, Confindustria Emilia-Romagna, Confcommercio Terziario Donna, Confcommercio Ascom Bologna, Comitato Unitario degli ordini Professionali dell’Emilia-Romagna (CUP ER), CNA Impresa Donna Emilia-Romagna, Gruppo Minerva Federmanager, ConfAPI.
Di grande importanza la piena adesione che abbiamo registrato, anche tra queste rappresentanze, attorno agli obiettivi paritari e antidiscriminatori contenuti nel Piano per il Lavoro e il Clima e assunti con il WND dal programma di mandato della Giunta.
Cooperative, imprese, manager e professioni chiedono un maggior coraggio dei decisori pubblici nel mettere risorse, energie ed investimenti al servizio dell’eguaglianza di genere quale leva fondamentale di sviluppo sostenibile. Né mancano proposte concrete a vantaggio delle competenze femminili avanzate dalle associazioni, come quella presentata dal gruppo Minerva di Federmanager.
Studi aggiornati ci dicono che se si raggiungesse un equilibrio tra donne e uomini nel mondo del lavoro il Pil italiano aumenterebbe dell’11%. Ma anche le rilevazioni illustrate dalle associazioni datoriali, dopo i dati raccolti dall’osservatorio regionale, dalla Consigliera di Parità e dai sindacati, fotografano ben altra realtà: occupazione femminile scesa al 48,9 per cento in Italia a causa della crisi pandemica, un reddito medio che arriva appena al 59,6% rispetto a quello degli uomini; quasi il 40% delle dipendenti delle imprese, del resto, chiede o ottiene il part time per necessità familiari, le lavoratrici sono concentrate fino al 70% nella fascia di lavoro meno qualificato, mentre la dirigenza femminile nel privato resta sia in regione che nel Paese attorno al 10%.
La diseguaglianza di genere ha cause strutturali, radicate, che stanno alla base dei nostri modelli di organizzazione socioeconomica. Da tutti gli stakeholders arriva la richiesta e al tempo stesso l’impegno per adottare politiche attive molto concrete in grado di promuovere occupabilità, occupazione e un cambiamento culturale: dall’incremento di servizi pubblici e privati volti ad alleggerire i carichi di cura sino alla formazione qualificata per le donne anche per supportare lo smartworking, dall’accesso alla digitalizzazione a organizzazioni aziendali flessibili che non penalizzano la maternità, molte sono le ricette urgenti da mettere in pratica. Passando sempre dall’intervento pubblico, ad esempio con il cosiddetto gender procurement e criteri di assegnazione degli appalti basati sull’equità di genere. Convergenza infine sulla necessità di un rendiconto puntuale dell’impatto di genere per ogni politica e misura concreta. Perché le differenze in azienda e nella società sono un valore aggiunto da misurare e incentivare con efficacia.
Giusto il titolo dell’articolo, sul contenuto bisognerebbe parlarne. Al di là dei numeri e delle uguaglianze matematiche, dovrebbe contare il merito. E personalmente credo che il merito femminile, nei numeri, sia persino superiore all’uguaglianza. Buon lavoro. ing. Dino Lupi