(2 febbraio 2021) L’impatto drammatico della crisi pandemica sull’occupazione femminile è fotografato in alcuni dati diffusi oggi nella stima provvisoria Istat sul mercato del lavoro. Numeri che ci impongono di accelerare negli interventi di empowerment, di riequilibrio e di incentivo all’occupabilità e occupazione di qualità delle donne. Ciò sulla base di un attento monitoraggio, anche territoriale, esigenza da cui scaturisce l’interrogazione presentata alla Giunta assieme ai gruppi di maggioranza (vedi sotto il testo).

A dicembre 2020, in un solo mese, sono risultati 101.000 posti di lavoro in meno, una perdita che ha riguardato ben 99.000 donne, molte giovani, tutte sotto i 50 anni. E’ purtroppo la plastica dimostrazione che il lavoro femminile, il più precario, discriminato e sottopagato, sta pagando la crisi in misura enormemente alta, inaccettabile in una società che si dice moderna ma svela in realtà tutta la sua fragilità e arretratezza strutturale. Come dimostra del resto il tasso di disoccupazione giovanile, tornato a sfiorare il 30%. Come possiamo parlare di rilancio economico, di ripresa post Covid e sviluppo sostenibile, di futuro, se lasciamo fuori dal mercato del lavoro i giovani e le donne?

Teniamo presente che ancora siamo sotto l’ombrello del divieto di licenziamento e della cassa integrazione in deroga. Ciononostante in un anno (dicembre 2020 su dicembre 2019) l’occupazione è scesa di 444mila unità, di cui ben 312mila sono donne. La diminuzione dei posti coinvolge sia dipendenti (-235mila) che autonomi (-209mila), ma questa peculiare fragilità del lavoro femminile, anche dipendente, resta legata ad una segregazione formativa e a condizionamenti di ruolo familiare che continuano a concentrare le donne nei Servizi e in lavori precari nei quali è sempre possibile licenziare.

Inoltre, al calo di dicembre pari a 0,5 punti sul tasso di occupazione femminile, si associa l’aumento dell’inattività tra le donne (+0,4 punti), mentre per gli uomini la stabilità dell’occupazione si associa al calo dell’inattività (-0,1 punti). Inattività significa molte volte non provarci neppure, significa marginalità senza ritorno. Quando sappiamo invece che è proprio l’autonomia lavorativa e di reddito a salvare le donne da subalternità che scivolano in violenze e abusi. Dobbiamo invertire la rotta subito, per non rendere queste diseguaglianze davvero irreversibili.

Per questo e per tutto quanto sta accadendo, la crisi di Governo va risolta al più presto, senza sterili protagonismi. Il Paese deve dotarsi di azioni misurabili per quanto riguarda l’impatto di genere che realmente producono e di un piano per l’occupazione femminile e la parità salariale a livello nazionale. Occorre anche programmare politiche attive a livello regionale che ripensino gli ammortizzatori sociali e gli incentivi alle imprese, per una maggiore equità. ______________________________________________________

Bologna, 2 febbraio 2021

Interrogazione a risposta orale in Commissione

I GRUPPI ASSEMBLEARI DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA

Premesso che

  • i dati appena diffusi nella stima provvisoria Istat sul mercato del lavoro in Italia fotografano l’impatto disastroso che ha avuto la pandemia da coronavirus: da febbraio 2020 a dicembre 2020 l’occupazione è calata di ben 426mila unità, nonostante il blocco dei licenziamenti in vigore, ininterrottamente, da metà marzo 2020 e la cig Covid-19 estesa quasi a tutti;
  • in questo contesto, a pagare il conto più salato sono state le donne, la fascia centrale d’età 25-49 anni, gli autonomi e i rapporti di lavoro a tempo determinato, con la perdita di ben 99.000 posti lavoro femminili (quasi interamente giovani e under50) su 101mila posti totali perduti nel mese di dicembre 2020;
  • più in generale, da dicembre 2019 a dicembre 2020, si sono persi 444mila posti di lavoro, dei quali 312mila occupati da donne, le quali vedono anche aumentare il tasso di inattività;

Sottolineato che

  • in tutta Europa le restrizioni e chiusure dovute alla pandemia hanno aggravato lo squilibrio occupazionale esistente, colpendo alcuni settori ad altissima intensità di occupazione femminile, quali sono sanità e servizi, ma anche turismo, moda e cultura, settori che hanno anche esposto maggiormente le donne al contagio stando ai dati diffusi dopo la prima fase della pandemia;
  • la femminilizzazione dei settori della cura, dell’assistenza e dell’educazione, che nell’emergenza Covid-19 abbiamo riscoperto essere essenziali, pone l’urgenza sociale di valorizzare il ruolo chiave che le donne hanno esercitato e stanno esercitando;
  • In Italia il gap occupazionale tra donne e uomini è particolarmente profondo, collocandoci da tempo agli ultimi posti nella UE, con radicate discriminazioni, segregazione formativa e lavorativa e stereotipi di ruolo che, sommati a carenza di servizi di conciliazione, pongono le donne in condizioni di precarietà e di elevato rischio di espulsione dal mercato;
  • il Commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, intervenendo alla tavola rotonda digitale per “Il Manifesto – Idee per una ripartenza alla pari di Half of it”, ha ricordato che tante eurodeputate e tanti eurodeputati hanno chiesto l’inserimento nei Piani nazionali del Recovery Fund di una quota di risorse per investimenti vincolati alla parità di genere, al pari della transizione ambientale e dell’innovazione digitale. A questa richiesta, ha specificato il commissario, il Consiglio UE ha preferito recepire la sollecitazione del Parlamento in modo trasversale, per cui la valutazione d’impatto di genere non dovrà riguardare solo gli investimenti direttamente indirizzati in questa direzione, ma anche gli investimenti in campo ambientale e digitale.

  Ricordato che

  • nelle proprie Linee di mandato 2020-2025 e successivamente nel Patto per il lavoro e il clima, la Giunta ha inserito la necessità di un “Women New Deal”, ovvero un piano di azioni culturali, economiche e sociali per la promozione del protagonismo femminile in tutti i settori quale fattore di modernizzazione della società”, riconoscendo altresì la centralità di progetti di empowerment occupazionale e lavorativo delle donne per colmare tutti i pesanti gap di genere che frenano la loro partecipazione allo sviluppo;
  • il programma di mandato cita espressamente un “Osservatorio regionale per monitorare l’impatto che l’emergenza COVID-19 avrà sul lavoro femminile” quale base statistica necessaria alla definizione del piano di interventi;
  • la legge regionale dell’Emilia-Romagna 27 giugno 2014, n. 6 “Legge quadro per la parità e contro le discriminazioni di genere” prevede il Bilancio di genere (Art. 36) ed il Piano interno integrato delle azioni regionali in materia di pari opportunità di genere (Art. 40), quali strumenti di monitoraggio e misurazione delle politiche regionali in tema di pari opportunità, nell’ambito della complessiva valutazione delle politiche pubbliche, per verificare il diverso impatto delle politiche sulla condizione di donne e uomini, essendo tale misurazione indispensabile all’efficacia nonché alla rimodulazione delle stesse:

Tutto ciò premesso

INTERROGA LA GIUNTA REGIONALE PER SAPERE

  • se è disponibile un monitoraggio ragionato dell’impatto che il COVID-19 ha avuto e sta avendo sul lavoro femminile in Emilia-Romagna e se ritiene utile l’introduzione di criteri di valutazione dell’impatto di genere sulle politiche regionali, sulle azioni e sugli investimenti messi in campo trasversalmente nei vari ambiti di competenza, al di là delle clausole valutative e con il coinvolgimento formale dell’area di integrazione ex art. 39 L.R. 6/2014, nonché di ogni altro servizio o supporto anche accademico.