L’ha istituita, insieme al modello per i cosiddetti ‘Pdta’-Percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali standardizzati, un recentissimo provvedimento regionale. Una buona notizia, perché la Rete potrà garantire la presa in carico precoce, la prevenzione delle complicanze e gestione multidisciplinare della patologia; assicurare alle pazienti il livello di assistenza più appropriato in relazione al quadro clinico; calibrare il tipo e la necessità di intervento chirurgico; affidare gli interventi più complessi alle strutture regionali ad elevata casistica e specializzazione. E ancora, monitorare i livelli di qualità delle cure e collaborare attivamente con le associazioni, in modo da assicurare uno scambio di informazioni costante. In Italia la malattia colpisce quasi 3 milioni di donne e, a livello regionale, solo lo scorso anno ha reso necessari 798 ricoveri, di cui 734 per intervento chirurgico. Ricordo bene i racconti di sofferenza delle donne affette da endometriosi, quando, sino a poco tempo fa, non riuscivano ad avere cure adeguate dal servizio sanitario perché la loro patologia non era riconosciuta come grave. Oltre che vivere nel dolore e nella paura dell’infertilità, si sentivano anche abbandonate.
Una svolta l’ha impressa l’azione competente e determinata di APE onlus e, nel 2017, l’introduzione dell’endometriosi nei Registri di doppia rilevanza, regionale e nazionale, destinati all’analisi e alla prevenzione delle patologie più rilevanti: lo abbiamo fatto con la legge regionale di fusione delle Aziende sanitaria e ospedaliera reggiana di cui sono stata relatrice, proprio come riconoscimento propedeutico alla presa in carico più adeguata. Questo passo avanti decisivo, che monitoreremo, sollecita l’attuazione in ogni sua parte della legge quadro regionale per la parità 6/2014, a partire dalle norme per la salute che individuano nella medicina di genere l’approccio corretto di prevenzione, appropriato e personalizzato, dove il percorso terapeutico – come è nel nuovo protocollo dell’endometriosi – deve poter contare su équipe multidisciplinari e strutture che dialogano tra loro. Perché la Rete sia efficace, inoltre, la Regione dovrà investire su un potenziamento degli accessi primari alle diagnosi e prime cure, in particolare dei Consultori, che restano per le emiliano-romagnole i punti di accesso preferiti ai servizi.
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