Il mondo del lavoro non ha mai reso giustizia alle donne e al loro impegno, neppure oggi che sulla carta i diritti sono parificati. La disuguaglianza di genere è una realtà molto dura, che impedisce a tante donne di realizzarsi nella professione e a moltissime ragazze di accedere
ad una formazione o ad un lavoro di qualità, adeguatamente remunerato. Il gap retributivo, che in Europa resta in media del 16% e in Italia circa del 23% (con un picco del 46% registrato nelle attività professionali, scientifiche e tecniche), unito al gap di conoscenze e competenze tecnico-finanziarie e al persistere di una squilibrata divisione dei ruoli nelle famiglie, fa sì che ancora oggi troppe donne, oltretutto, non siano autonome nella gestione del denaro e del risparmio.

Il 3 maggio ho aderito all’ Equal Pay Day insieme a ben 63 organizzazioni: la giornata ha lo scopo di sensibilizzare questa mortificante disparità salariale e di reddito tra donne e uomini, responsabile di minare le fondamenta di una Repubblica fondata sulla dignità del lavoro. Il fatto che l’Italia sia all’ 82esimo posto su 112 Paesi nel mondo per capacità di colmare le diseguaglianze di genere è un campanello d’allarme e indica quanto lavoro ancora ci sia da
fare.  La parità non è residuale, è condizione di progresso. Abbiamo bisogno di un’Europa femminista che, partendo dalla condizione della donna, spogli la società delle sue vecchie vesti, tramite politiche e impegni concreti per l’occupazione e il pieno contributo femminile allo sviluppo. Perché quando si cerca lavoro non è accettabile che il diritto di essere madre sia compromesso o comprometta un’assunzione; perché il potersi realizzare in ambito lavorativo è diritto di uomini e donne; perché le nostre battaglie valgono la pena di essere combattute, esattamente come tutte le altre.
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