“Le parole sono le cose”, citando un concittadino castelnovese illustre, Piergiorgio Paterlini. E di parole, persone, idealità perdute insieme alla credibilità di un’intera comunità politica, ho riflettuto in queste settimane e nelle sedi del Partito Democratico. Capire in profondità le cause di una sconfitta in parte annunciata, è il presupposto. E per capire, va sottolineato come siano uscite sconfitte anche la cultura e la dignità femminili: in un Parlamento dove le donne sono di poco cresciute superando il 34%, il PD è solo il terzo gruppo parlamentare per percentuale di elette, dopo 5Stelle e Forza Italia, a causa di una consapevole gestione iniqua e centralistica delle liste dove le stesse candidate si sono rese complici di pluricandidature premianti per molti uomini, escludenti numerose altre donne. È prevalsa qui un’impostazione regressiva, che ha fermato il cammino paritario all’interno di una comunità politica e mortificato una progettualità femminile ampia che dal centrosinistra si rivolgeva al Paese
sul terreno della democrazia e dei diritti.
Parliamo di potere e di leadership, inevitabilmente. Quella di Renzi si è connotata per essere pervasiva, assorbente, assolutizzante, scandita dal ritmo frenetico di messaggi che diventano linea e orientamento politico per il Partito e del Partito. Annunci, proclami, il cui valore deriva non tanto dal loro contenuto politico e neppure dalla scelta delle parole, quanto dalla forza (percepita) del leader, di colui che li emana. Indebolito il leader, si sfaldano parole e senso. La sconfitta del PD mette senz’altro in discussione il disegno di una disarticolazione dei corpi intermedi, politici e sociali, al fine di una interlocuzione diretta con il popolo. E impone di riflettere sul perché perdendo le parole appropriate per rappresentarci in modo autentico, abbiamo gradualmente perso l’identità,
cioè quell’insieme valoriale e programmatico che rende una comunità politica riconoscibile, e riconosciuta la sua collocazione nel mondo. Fra i tanti esempi, la battaglia sulla sobrietà e i tagli nei costi della politica, dove non siamo stati credibili anche per non aver ricordato e sottolineato la nobiltà, la responsabilità della funzione politica democratica, come ce la restituisce la Costituzione Repubblicana. Il mancato coraggio di osare sullo Ius soli accodandoci invece a paure altrui, è altro esempio eclatante di questa subentrata incapacità di riconoscerci e qualificarci. Sul garantismo a fasi alterne non siamo stati credibili, e neppure sull’Europa… perché da una posizione di governo dire sì all’Unione Europea ma non a questa, sì alle regole ma bisogna cambiarle, ha prodotto un esito preciso: gli elettori hanno scelto gli “originali”. Con le parole abbiamo perso finanche l’empatia, l’immedesimazione con una realtà sociale ferita da profonde diseguaglianze e paure. Non so se il ‘partito liquido’ sia cosa e parola da archiviare: di certo non rappresenta LA soluzione alla crisi sovranazionale della rappresentanza democratica in un sistema socio-politico che sta rigettando tutte le categorie tradizionali, compresa destra e sinistra. Dovremo riflettere a lungo se tali categorie sono davvero sconfitte nell’aspetto valoriale, oppure sono state svuotate nell’agire politico da chi aveva la responsabilità di interpretarle nell’oggi e con sguardo lungo.
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