Intervento pubblicato su GAZZETTA DI REGGIO 8/03/2018 -di Roberta Mori, Consigliera regionale, Presidente Commissione per la Parità e i Diritti delle Persone della Regione Emilia-Romagna:

#Metoo #TimesUp e noi potremmo aggiungere #adessobasta. Che è un grido di dolore, un appello, un programma politico. Si, perché l’inciviltà delle violenze di genere e la segregazione femminile nella società italiana non è sostenibile ed anzi, viene se possibile aggravata dall’esiguità della rappresentanza femminile che ci consegna il nuovo Parlamento, unitamente alle prospettive opache e incertissime delle politiche di parità e antidiscriminatorie. Perché un Paese dove i femminicidi superano il centinaio ogni anno, dove un milione e mezzo di donne hanno subito ricatti sessuali sul posto di lavoro e oltre sei milioni una qualche forma di abuso, dove l’occupazione media femminile non raggiunge il 50% e le donne si sostituiscono ad un welfare pubblico che in molte zone non esiste, è un Paese non compiutamente democratico. Chi è stato eletto, da Nord a Sud e sotto qualsivoglia bandiera, ciascuno e ciascuna rappresentante di Camera e Senato ha oggi l’onore, ma soprattutto l’onere della consapevolezza: o riduciamo le disuguaglianze o perdiamo il futuro.

Già prima delle elezioni tantissime donne italiane consapevoli si sono appellate alle forze politiche per questa forte assunzione di responsabilità. In particolare il Coordinamento nazionale delle Commissioni pari opportunità delle Regioni, che ho l’onore di presiedere, ha chiesto alla politica di assumere le proposte finali della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio: una stretta sulle misure penali ma soprattutto un investimento sulla prevenzione, attraverso una normativa quadro intersettoriale ed integrata per la parità. Non è vero che le leggi non servono, servono le leggi giuste e chi le attui. L’esempio da cui non da ora partiamo è quella legge regionale per la parità e contro le discriminazioni di genere che abbiamo potuto proporre, approvare nel 2014, ed ora attuare, solo grazie alla storia di condivisione, partecipazione e protagonismo femminile propria dell’Emilia-Romagna. Misure strutturali e trasversali di prevenzione della violenza, servizi capillari, ricerca dell’appropriatezza delle cure per uomini e donne, misure di conciliazione e lavoro, di sgravi e incentivazione adeguate a colmare un inaccettabile gap occupazionale e retributivo che frena la ripresa e nega opportunità alle giovani generazioni.

È grazie a questo approccio strutturale e di equità sociale che nonostante la crisi l’occupazione femminile è oggi in Emilia-Romagna al 67,2%, che le 85mila imprese femminili attive nella nostra regione (circa il 21% del totale) si stanno consolidando, che le aziende agricole guidate da donne passano dalle 3.600 nel 2012 a poco meno di 4.000 nel 2017. Problemi risolti? No davvero. Ad esempio, le rilevazioni ci dicono di un abbandono formativo dopo le Scuole superiori che riguarda più le ragazze dei coetanei e tra i NEET, cioè coloro che non studiano e non lavorano nella fascia 15–29 anni, le ragazze sono quasi il doppio dei maschi. Né ci appaga il fatto di avere in Emilia-Romagna la quota più alta in Italia di servizi pubblici alla prima infanzia se, comunque, le mamme lavoratrici sono sempre più precarie, guadagnano meno dei colleghi anche per un obbligato ricorso al part-time, vivono difficoltà a volte drammatiche se sono professioniste o autonome… con i conseguenti impatti negativi sui futuri trattamenti previdenziali. Ebbene, lo dico con chiarezza. Il cammino positivo compiuto qui in Emilia-Romagna, come in altre aree di un Paese quanto mai diviso, può essere cancellato in fretta. I diritti in particolare delle donne non si possono mai dire ‘acquisiti’, le fratture e le discriminazioni si allargano con facilità e, oggi, con inedita rapidità. Ecco perché, qualunque sarà l’esito parlamentare del voto del 4 marzo, le donne, noi donne, dobbiamo pretendere che gli eletti ed elette si facciano carico delle diseguaglianze e del mancato contributo alla crescita di una parte così rilevante della società italiana, la parte più consapevole per storia e per responsabilità quotidiane. Ecco la nostra mimosa! Buon 8 marzo!