(6 febbraio) Sono due le misure di contrasto alla povertà a cui si può accedere in Emilia-Romagna: il Reddito di inclusione sociale (Rei) -attivo a livello nazionale- e il RES, misura universalistica attiva solo sul nostro territorio, finanziata dalla Regione con 35 milioni l’anno fino al 2020 e che include una platea più ampia, ad esempio anche i nuclei senza minori. In Commissione ‘Politiche per la salute e politiche sociali’ abbiamo sentito la vicepresidente con delega al welfare, Elisabetta Gualmini, a distanza di quattro mesi e mezzo dalla sua completa applicazione. Con una media di 93 per ogni giorno lavorativo, in questo periodo sono state 11mila le domande presentate per ottenere il Reddito di solidarietà, cioè un aiuto economico (fino a 400 euro mensili per un anno per i nuclei famigliari fino a 5 persone) abbinato ad un progetto di inserimento sociale e lavorativo.
Sono infatti inclusi i lavoratori e lavoratrici precarie, quelli con basso o bassissimo reddito o con un figlio disabile. Già in dicembre sulle 2mila famiglie ammesse al Res dopo il via libera dall’Inps, circa la metà era composta da una sola persona e oltre i due terzi (69%) non aveva minori a carico. Quanto ai territori, si va dalle 2.346 domande presentate a Bologna alle 484 di Piacenza, mentre ad esempio a Modena si registrano 1.533 domande su 300.584 famiglie residenti e a Reggio Emilia 875 su 226.354. Le persone che chiedono il RES vivono in situazione di grave povertà, faticano molto ad arrivare a fine mese, spesso con in comune il dramma della disoccupazione. Gli uomini sono il 50,6% e le donne il 49,4%, mentre le persone con più di 45 anni sono il 65,7% dei richiedenti.
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