(Bologna, 17 novembre) Ho assistito ad dibattito di alto profilo promosso dall’associazione DEMS di Andrea Orlando con relatori importanti, da Romano Prodi al segretario della CEI Mons. Nunzio Galantino (“l’integrazione è sinfonia delle differenze”), dal presidente della Regione Bonaccini all’eurodeputata Cécile Kyenge, a spiegare i tanti aspetti di un fenomeno epocale da governare in modo laico e senza lasciarci sopraffare dalle paure. L’immigrazione, infatti, non è una emergenza ma per le caratteristiche demografiche europee è una esigenza e, se ben gestita, una opportunità. Per non cedere alla xenofobia e alle violenze alimentate dal populismo, per riaffermare l’umanità e la civiltà del diritto che ci connota, per offrire ai nostri figli una società europea ancora democratica e pacifica, occorre ripensare i modelli e gli egoismi nazionali.

La gestione degli immigrati e dei rifugiati nella prima accoglienza non può essere lasciata alla sola Italia e i passi avanti -ancora troppo timidi- in sede Europea testimoniano che il Governo italiano sta costantemente proponendo soluzioni condivise. Occorre rimettere al centro dell’azione politica la capacità di realizzare interventi nuovi e concreti, che sappiano coniugare la necessità di prestare soccorso e solidarietà senza minare le fondamenta di una convivenza civile.  Di fronte a un fatto epocale e di tali dimensioni va messo in discussione il nostro vecchio modello di sviluppo basato su confini superati dalla storia e dalla stessa economia: l’integrazione senza conflitti darà un futuro alla società, non certo i respingimenti solo temporanei. E l’integrazione è fatta di passi, qual è l’approvazione della legge sulla cittadinanza (ius soli) per riconoscerla ai minori stranieri nati in Italia da genitori che qui vivono e lavorano legalmente da anni, che non capiscono che differenza c’è tra loro e i compagni di scuola.