(18 luglio) Senz’altro positiva, quanto attesa, la decisione della Giunta regionale di chiedere al Ministero la deroga per non sospendere l’attività di assistenza al parto nei punti nascita reggiani di Castelnovo ne’ Monti e Scandiano, nei due modenesi di Pavullo nel Frignano e Mirandola, in quello parmigiano di Borgo Val di Taro e in quello ferrarese di Cento. Positivo soprattutto il fatto che la politica si assuma la sua responsabilità e cerchi soluzioni ai problemi ben evidenziati -per quanto riguarda le criticità operative da un lato, i rischi per la sicurezza delle donne dall’altro- nella relazione finale della Commissione consultiva medico-scientifica (LEGGI). Decisione e relazione sono state al centro della seduta di Commissione, congiunta Parità e Sanità, che avevamo chiesto da settimane, dove abbiamo sentito l’assessore Sergio Venturi e il presidente dei “tecnici” prof. Giuseppe Battagliarin. Lo studio svolto sui percorsi nascita rileva una diminuzione dei parti in tutte le strutture dell’Emilia-Romagna (-11% nell’ultimo quinquennio), con punte negative, ben sotto il parametro nazionale di sicurezza dei 500 parti annui, in particolare nei territori citati (dal meno 51,2% di Pavullo, al meno 22,4 di Castelnovo Monti).
Da qui, ma non solo, la valutazione per la chiusura espressa dalla Commissione consultiva. Nella relazione si parla infatti di “complicazioni ostetriche più frequenti negli ospedali a basso volume di attività” e di un tasso troppo elevato di tagli cesarei. Questi e altri problemi di sicurezza per la salute di partorienti e nascituri/neonati, sono in gran parte riconducibili alla carenza di personale dedicato e alle correlate difficoltà di mettere a disposizione in loco équipe multidisciplinari, complete di tutte le competenze che servono per i parti a rischio. Tali difficoltà operative si superano, come dimostrano altre esperienze ad esempio in Romagna, come dimostrato dall’esperienza del Sant’Anna o di altri punti nascita periferici reggiani che sono da tempo integrati con il Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, dove vengono sempre orientate le situazioni a rischio. Ritengo che ad esempio, attraverso protocolli con il personale medico si può rafforzare un’integrazione fra le strutture che è già nei fatti. Di certo la stessa unificazione e razionalizzazione delle Aziende Sanitarie e la creazione imminente del MIRE ospedaliero, facilitano una soluzione che la Regione può perseguire fino in fondo, persuadendo anche il Ministero che il mantenimento di quei punti nascita non mina la sicurezza delle partorienti e dei bambini.
SONO UN PEDIATRA DA 40 ANNI CHE HA LAVORATO IN OSPEDALE; PER TANTI ANNI LA REGIONE EMILIA-ROMAGNA HA FATTO UNA BUONA POLITICA SANITARIA, DI AMPI ORIZZONTI, CORAGGIOSA E ATTENTA A GARANTIRE UNA EQUITA’ DELLE CURE.
PURTROPPO DA ANNI NON E’ PIU’ COSI: E’ UNA POLITICA SCHIZOFRENICA CHE CALPESTA I PROFESSIONISTI E LA SICUREZZA DEI NEONATI E DELLE MADRI, NON GARANTENDO NEANCHE UNA EQUITA’ DELLE CURE.
Senza speranza.. se non si è tenuto conto della relazione finale della Commissione Nascita Regione Emilia Romagna
Riporto il mio pensiero sui punti nascita che espressi pubblicamente già in giugno 2017:
“PUNTI NASCITA, USCIRE DALLE AMBIGUITA’ DETTATE DALLA RICERCA DEL CONSENSO
La discussione sui Punti Nascita che negli ultimi mesi ha visto impegnati i quotidiani a dare conto della posizione di sindaci e amministratori locali contrari alla chiusura dei piccoli centri con meno di 500 nascite per anno, avvenendo così a ridosso delle elezioni – non solo amministrative – scusate, ma mi puzza di “ricerca di consenso”.
Tali posizioni – sicuramente in buona fede – rappresentano, purtroppo solo l’ultimo di una lunga serie di tentativi di procrastinare (o di evitare) le scelte dettate dalle previsioni dell’Accordo della Conferenza Unificata Stato Regioni del 16 dicembre 2010 che prevedeva: «la riorganizzazione dei punti nascita fissando il numero di almeno 1000 nascite/anno quale parametro standard a cui tendere, nel triennio, per il mantenimento/attivazione dei punti nascita» e, solo sulla base di motivate valutazioni, «la possibilità di punti nascita con numerosità inferiore e comunque non al di sotto di 500 parti/anno».
Dilazioni (finora hanno funzionato alla perfezione) che hanno consentito di mantenere aperti centri con meno di 200 nascite per anno mettendo in crisi gli stessi Punti Nascita a norma e l’intero sistema ostetrico e pediatrico regionale. Tutti tentavi operati – sotto la pressione di alcuni cittadini – per non scontentare l’elettorato nella forsennata ricerca, appunto, del consenso.
Ma cosa c’entra, ci chiediamo, in questo caso il consenso con la salute delle mamme e dei neonati? Ci chiediamo, ancora, se sia possibile sacrificare scelte di buon senso legate al diritto ad avere un’assistenza sicura alla nascita sull’altare di un consenso legato, invece, a pretesi disagi di puerpere elettrici?
Se, infatti, non v’è alcun dubbio che la scelta di garantire Punti Nascita con almeno 1000 nascite/anno sia dettata da precise scelte operate sulla base di elementi scientifici consolidati qualsiasi altra decisione è solo deleteria e contribuisce a generare confusione. Due su tutte le questioni che sostengono la scelta di Punti Nascita più “grandi”:
Mille Nascite per anno: garanzia di esperienza e competenza:
Per i neonati!
Il numero di (almeno) mille parti/anno, non è casuale. Esso nasce dalle indagini epidemiologiche realizzate nel corso di questi ultimi anni da cui è risultato che,nel settore del parto, studi scientifici su centinaia di migliaia di donne in Europa, negli Stati Uniti, in Giappone, documentano che la mortalità durante parto per mamma e bambino, sebbene bassissima, sia più del doppio in centri a basso volume di attività paragonati a centri con elevato volume di attività, mentre l’asfissia del neonato alla nascita risulta tre volte maggiore.
Per le mamme!
Una ricerca condotta in Regione Emilia-Romagna ha evidenziato che, in caso di problematica materna o fetale, nei centri più piccoli si induce più frequentemente il parto prima del termine rispetto ai centri più grandi. Anche l’incidenza di rischiose emorragie nel post partum è risultata tre volte maggiore nei piccoli ospedali rurali con meno di 600 parti per anno rispetto a quelli più grandi, in uno studio californiano su 736.643 nascite in 267 ospedali.
Questi dati non sono casuali bensì sono il frutto della possibilità di maggiore formazione e competenza che si acquisisce lavorando nei grandi centri. Lo evidenziano benissimo nel documento del 4 ottobre 2016 i Ginecologi di Lugo e Faenza e nel documento dello scorso 23 marzo le associazioni dei medici neonatologi e pediatrici dell’Emilia Romagna, indirizzati all’Assessorato alla Sanità della Regione Emilia-Romagna, al Presidente della Commissione Nascita Regionale ed ai Sindaci delle città con punti nascita della regione E-R, che spiegano come se in un centro con 500 nati può capitare di rianimare un neonato 2 volte l’anno e, se ci sono almeno 6 medici che ruotano, in quella struttura gli capiterà di rianimarne uno ogni 3 anni: quel medico non potrà essere capace di farlo al meglio! Anche se la mortalità e l’asfissia alla nascita sono basse – scrivono – ogni caso prevenibile è un caso di troppo!
La vera discriminazione, il vero disagio, dunque, non sta nella chiusura dei Punti Nascita piccoli, bensì – a ben vedere – nel venir meno della garanzia dell’uguaglianza nell’accesso alle cure.
La carenza di medici pediatri e la programmazione dei servizi nell’età evolutiva
Stando a quanto riferito dal Ministero della Salute, in Italia sono attualmente in attività circa 14 mila pediatri, di cui 7714 pediatri di libera scelta. Tra il 2015 ed il 2030, 6152 pediatri di libera scelta raggiungeranno l’età pensionabile. Attualmente in Italia circa 700 pediatri anno vanno in pensione e circa 350 anno sono i pediatri che escono dalle scuole di specialità, per cui dagli attuali 14.000 nel 2030 ci saranno circa solo 8.000 pediatri: esiste il concreto rischio di una progressiva carenza di professionisti sia in ambito ospedaliero che territoriale. Nel nostro territorio della Romagna la carenza di pediatri/neonatologi è già presente, in quanto sempre più medici non rimangono in ospedale e pochi accettano di venire coscienti del maggior
rischio clinico esistente.
Inoltre la carenza di pediatri sta nei fatti facendo venir meno l’assistenza qualificata per i bambini-adolescenti con malattie croniche complesse e con problemi neuropsicologici/neuropsichiatrici che sono
sempre di più e che richiedono una serie di competenze qualificate e di interfaccia tra l’ospedale e il territorio
La mancata riorganizzazione di punti nascita con bassi volumi di attività, unitamente alla sempre più utilizzata rotazione di equipe mediche, mobilizza risorse professionali dai centri ad elevato volume indebolendoli e mettendoli ulteriormente in crisi. Continuare nella non applicazione dell’accordo del 2010, dunque, può (forse) pagare sul piano elettorale ma è certo che realizza un sistema discriminante nell’accesso alle cure mediche sia per le mamme e neonati che per i bambini e adolescenti.
Piuttosto che sostenere richieste ingiustificabili di “sopravvivenza” di Punti Nascita con bassi volumi di attività per anno, sarebbe necessaria una forte campagna informativa che faccia crescere la consapevolezza di un parto da vivere come “evento fisiologico” che deve, comunque, sempre svolgersi nel massimo della sicurezza e nella certezza di disporre di competenze adeguate in caso di emergenze ostetriche e/o neonatali.
Ancora una volta è forte l’invito, a quanti si occupano di politica sanitaria, a recepire i numerosi appelli di professionisti del settore neonatologico, ostetrico ed anestesiologico sulle modalità più sicure per organizzazione un’assistenza al parto, in linea con elementi scientifici e legislativi.”