(COMUNICATO Bologna, 16 dicembre 2015) Vale la pena investire sugli sportelli di ascolto a scuola, perché dove ci sono si moltiplicano anche gli accessi (e la percezione di essere ascoltati dagli adulti) dei ragazzi e delle ragazze. Questa la conclusione più significativa di una ricerca-studio condotta a Forlì-Cesena e Parma, promossa dal Garante dell’infanzia e dell’adolescenza regionale Luigi Fadiga, realizzata dal Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna. Il quadro non è rassicurante: più della metà delle scuole interpellate sono prive di sportello di ascolto, e dove esso esiste, svolge spesso anche altre funzioni e scarso è il numero di ore di apertura. Inoltre le metodologie di ascolto sono molto diversificate, non esistendo livelli minimi standard ai quali attenersi. Il dato più preoccupante: solo nel 20% delle scuole i ragazzi possono essere ascoltati senza l’autorizzazione dei genitori. Secondo il Garante questo limite impedisce ai minori di confidarsi sui casi più delicati di difficoltà relazionale o di abusi all’interno della famiglia.
A presentare la ricerca, insieme a Fadiga, il dirigente dell’Ufficio scolastico regionale Giovanni Desco, il consigliere metropolitano di Bologna con delega alla Scuola Daniele Ruscigno e la presidente della commissione Parità e Diritti delle Persone dell’Assemblea legislativa Roberta Mori. “Come commissione referente cerchiamo di fare nostre, elaborare e mettere a sistema le ricerche e le azioni che gli istituti di garanzia portano avanti, così da poter migliorare le nostre politiche regionali e, attraverso la conferenza Stato-Regioni, anche quelle nazionali- dichiara Mori nel suo saluto introduttivo-. Sul team dell’ascolto dei minori, in particolare l’Assemblea mette già in campo tutta una serie di progettualità finalizzate a intercettare i bisogni dei ragazzi e accompagnarne il difficile cammino di crescita: vogliamo soprattutto aiutare a contrastare tutte quelle discriminazioni che si verificano anche in ambito scolastico”. Gli esiti della ricerca “Ascoltiamo i minori”:
Analizzando i dati elaborati dalle professoresse Bruna Zani, Cinzia Albanesi e Martina Stefanelli, risulta che “quasi 500 studenti nell’ambito territoriale di Forlì-Cesena e oltre 1.300 nell’ambito di Parma, secondo le stime degli operatori, si sono rivolti allo sportello di ascolto nella scuola secondaria di primo grado nell’anno scolastico 2014/2015. Poco meno del 5% della popolazione studentesca in un caso, poco più del 10% nell’altro: percentuali d’altronde coerenti e in linea con quelle che risultano dal questionario studenti, in cui si registra un 5% a Forlì Cesena e 12%. Le scuole che offrono ai loro studenti un servizio di sportello d’ascolto sono il 41% a Forlì-Cesena e il 57% a Parma. Cambia significativamente tra Emilia e Romagna il livello di soddisfazione degli adolescenti rispetto all’ascolto ricevuto dagli adulti nella loro vita quotidiana: 4,7 su una scala da 1 a 10 per gli studenti delle scuole secondarie di primo grado a Forlì-Cesena; 8 per gli studenti nelle scuole di Parma.
“Tutto merito della scuola? – si chiedono le ricercatrici-. Probabilmente no: la maggiore diffusione di sportelli nel territorio parmense si associa anche ad un maggiore investimento di risorse da parte delle amministrazioni locali nel sostegno alle esperienze di sportello scolastico attraverso progetti, finanziati, di rete con il territorio”. I ragazzi, proseguono le accademiche, “vogliono un ascolto non intrusivo, non giudicante, che possono modulare in base alle loro esigenze, vogliono adulti che si mettano a disposizione ‘a richiesta’, e che sappiano stare dentro precisi confini”. E i genitori e gli insegnanti sono generalmente ritenuti “poco capaci di mantenere ‘una giusta distanza’, e spesso non sono ritenuti interlocutori adatti a discorsi su amicizia e amore”.
Fuori da scuola e casa non c’è la percezione che ci siano molti interlocutori adulti. I servizi del territorio, con l’unica eccezione del consultorio, sono noti a una minoranza di adolescenti; le ragioni sono probabilmente da ricondurre da un lato alla connotazione “specialistica” dei servizi che afferiscono al sistema sanitario, dall’altro alla scarsa visibilità dei servizi territoriali tra le giovani generazioni. Non è un caso, proseguono Zani, Albanesi e Stefanelli, che anche gli operatori di sportello, complice la scarsa abitudine a fare rete con i servizi, lamentino difficoltà nel momento in cui si tratta di “inviare” i ragazzi, che proprio nel passaggio tra scuola e servizi rischiano di perdersi e di compromettere il rapporto fiduciario con l’operatore e il servizio.
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