montecitorio2(Roma, 10 settembre 2013) “Gli articoli del decreto dedicati al contrasto della violenza di genere sono uno strumento utile, un segnale di presa in carico e assunzione di responsabilità dell’ordinamento giuridico in merito alla violenza contro le donne, ma sono da ritenersi del tutto insufficienti rispetto al fenomeno.” Così ha dichiarato la coordinatrice nazionale degli organismi di pari opportunità regionali, Roberta Mori, nell’audizione congiunta delle Commissioni parlamentari Affari Costituzionali e Giustizia, convocata per raccogliere pareri e proposte in vista della conversione in legge del decreto governativo in materia di sicurezza e contro i femminicidi.

L’approccio sanzionatorio non basta per affrontare con efficacia “l’indecenza di un fenomeno sociale e culturale ignorato, sottovalutato, non adeguatamente studiato e monitorato, che di fatto ha impedito e impedisce la piena realizzazione della donna”. Per sconfiggere la violenza serve prevenzione, cioè l’azione integrata di soggetti e istituzioni che per ruolo, competenza, per storia e per cultura siano dedicati a realizzare nella quotidianità questo obiettivo e dunque – ha sottolineato la Mori – è necessaria “una legge quadro condivisa che oltre all’attuazione della Convenzione di Istanbul, inserisca nel nostro sistema correttivi democratici e misuratori d’uguaglianza tali da sostanziare una piena parità tra donne e uomini.”

Audizione_presidenti_10set13Sempre a nome delle altre presidenti del coordinamento – presenti in Sala del Mappamondo le referenti di Abruzzo, Calabria e Lazio – la coordinatrice nazionale e presidente della Commissione per la parità dell’Emilia-Romagna ha chiesto alcune modifiche puntuali al decreto, tra cui: il finanziamento del Piano nazionale contro la violenza, se non si vuole fare operazione giuridica solo di facciata (dato che da 18.659.049 euro nel 2011 siamo passato a 1,5 milioni nel 2012 destinati ai centri e reti antiviolenza); la previsione di un’adeguata tutela della donna a fronte dell’irrevocabilità della querela presentata per stalking (altrimenti “facciamo desistere le donne dal denunciare e miglioriamo solo le statistiche”); l’introduzione di misure per il recupero rieducativo degli uomini maltrattanti sulla scorta di esperienze già presenti nel panorama nazionale. Leggi il seguito e l’intervento integrale in Audizione. “Ringrazio le Commissioni parlamentari per l’audizione, le mie colleghe regionali per il contributo di oggi – conclude la presidente Mori – ringrazio di cuore l’On. Marilena Fabbri per aver segnalato la Conferenza nazionale degli Organismi PO regionali tra i soggetti da audire e tutte le parlamentari e i parlamentari che condividono la nostra strategia e le nostre priorità utili a superare il dramma della violenza di genere.”

Onorevoli Deputati e Deputate, ringrazio dell’opportunità attribuita alla Conferenza Nazionale degli Organismi regionali di parità, di portare un contributo di merito al legislatore che si appresta a convertire in legge il decreto c.d. contro il “femminicidio”. Il nostro è l’unico coordinamento nazionale di organismi istituzionali di pari opportunità incardinati nelle assemblee o nelle giunte regionali diretto a:

[…] valorizzare il ruolo istituzionale degli organismi di pari opportunità, favorendo il coordinamento e lo scambio di esperienze e buone prassi tra le singole realtà regionali, al fine di promuovere politiche di genere conformi agli obiettivi di parità e pari opportunità tra uomini e donne, sanciti negli articoli 3, 51 e 177 7° comma della Costituzione.

Di per sé, dunque, una realtà preziosa per il portato esperienziale di cui è interprete sui territori, abitata da una società civile e istituzionale eterogenea, impegnata ad affiancare la rete diffusa delle associazioni femminili per imprimere un’accelerazione all’assunzione delle politiche di genere e di parità come vero snodo di cambiamento culturale della comunità nazionale, a supporto di una prevenzione efficace contro la violenza sulle donne.

Ho riflettuto insieme alle Colleghe Presidenti sul taglio esegetico da conferire all’odierna riflessione ed abbiamo optato per un approccio politico-istituzionale al tema che privilegi gli aspetti di sostanza nella trattazione della violenza di genere.

La violenza contro le donne costituisce l’estrema rappresentazione della patologia di un sistema discriminante che fonda da secoli la propria organizzazione sociale sulla marginalizzazione della soggettività femminile, che quando si afferma o esce da ruoli e schemi sociali precostituiti, provoca una reazione alimentata dallo stesso squilibrio di potere nella relazione tra uomini e donne.

Da un contesto siffatto, da un brodo di cultura così pregiudicato e pregiudizievole per le donne, si evidenzia finalmente – oltre il dato emergenziale della violenza contro le donne in tutte le sfumature e le accezioni individuate dalla Convenzione di Istanbul – l’indecenza di un fenomeno sociale e culturale ignorato, sottovalutato, non adeguatamente studiato e monitorato, che di fatto ha impedito e impedisce la piena realizzazione della persona umana, della donna come leva di un cambiamento e di un progresso possibile, mai veramente né convintamente perseguito.

Finché la società non si attrezzerà per colmare il gap di genere in ogni ambito, non dimostrerà di rispettare le donne, di valorizzarne competenze e talenti nei ruoli di governo e di rappresentanza; e il rispetto non potrà diventare un valore esigibile, neppure dallo Stato.

Ciò premesso e riservandomi di far pervenire un contributo scritto da parte della Conferenza Nazionale degli Organismi regionali di Pari Opportunità maggiormente articolato e completo, rispetto al respiro che oggi è concesso dai tempi delle audizioni, forniamo in estrema sintesi alcune osservazioni.

 

a.     Il Capo I del decreto-legge in esame che dagli articoli 1 a 5 è dedicato al contrasto e alla prevenzione della violenza di genere è da ritenere uno strumento utile, un segnale di presa in carico e di assunzione di responsabilità dell’ordinamento giuridico in merito alla violenza contro le donne, ma è da ritenersi del tutto insufficiente a rappresentare l’optimum per un fenomeno dalle complesse caratteristiche storiche e socio-culturali che, per essere contrastato, impone di predisporre un terreno comune di norme, un portato culturale condiviso di valori e principi che ispirino non solo l’evoluzione dell’approccio sanzionatorio (pur importante), ma soprattutto l’azione integrata di soggetti e istituzioni che per ruolo, per competenza, per storia e per cultura siano dedicati a tradurre nella quotidianità l’obiettivo primario: il NO alla violenza di genere.

 

b.      Tale obiettivo non può essere perseguito neppure soltanto con la predisposizione di un Piano nazionale contro la violenza di genere, pur nella sua importanza, perché politiche di genere, di parità e antidiscriminatorie per divenire fondamenta strutturali del nostro Stato di diritto, necessitano di una normativa quadro condivisa che attui certamente l’ambizioso e non più rinviabile obiettivo della Convenzione di Istanbul, ma ancor prima inserisca nel sistema correttivi democratici e misuratori d’uguaglianza che spezzino l’inerzia di un sistema miope, debole nel realizzare il più alto degli orizzonti costituzionali, ovvero l’uguaglianza sostanziale.

 

c.       Se aggiungiamo che nella relazione tecnica di accompagnamento si afferma che “l’articolo 5 prevede l’adozione di un Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica”, quando le risorse finanziarie e strumentali destinate a tal fine ai centri antiviolenza e agli Enti locali sono ridotte al lumicino e di gran lunga inferiori ai criteri di minima accettabili, ci sembra si debba fare uno sforzo che renda visibile se questa è una priorità su cui investire per migliorare il nostro Paese e il nostro futuro, oppure solo un’occasione fugace di rilievo istituzionale e giuridico.

 

d.      Più nel merito, si ritiene l’introduzione di nuove aggravanti funzionale al messaggio sul bene giuridico tutelato più che alla prevenzione; l’irrevocabilità della querela presentata per stalking coerente con il ruolo di uno Stato pienamente ingaggiato su un’azione di contrasto che va oltre la volontà dell’individuo, ma al contempo, ammettendo di avere a che fare non con l’iperuranio ma con la cruda realtà, se a fronte di questa irrevocabilità non ne consegue un’adeguata tutela della vittima si rischia solo di far desistere le donne dalla denuncia e migliorare le statistiche, ma non è questo che vogliamo (spero).

 

e.       L’ampliamento della gamma di misure coercitive a disposizione delle vittime è senza dubbio di grande utilità, così come pure le misure processuali di favore inserite nella proposta, nonché l’ammissione al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito. Lo strumento dell’ammonimento presuppone un’adeguata formazione delle forze dell’ordine e del sistema complesso degli operatori che incrociano le esigenze della vittima e gli effetti della violenza, con l’istituzione di sezioni specializzate che proponiamo di favorire, sia nei tribunali che nei corpi di polizia.

 

f.      La specificazione degli istituti di violenza domestica e violenza assistita, così come la tutela per gli stranieri vittime di violenza domestica rende giustizia alla complessità del quadro fattuale a cui dovrebbe corrispondere un quadro giuridico adeguato.

 

g.   Relativamente infine al Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, visto l’inglorioso passato che ha visto slittare lo stanziamento da 18.659.049 euro nel 2011 a 1,5 milioni di euro nel 2012, si ritiene che si debba ridare – con uno stanziamento di almeno 20 milioni a sostegno dei centri antiviolenza – piena dignità ad uno strumento operativo che discende direttamente dagli impegni richiesti dall’Europa e dalla Convenzione di Istanbul, senza sottacere e ripetere in questa sede che una pluralità di azioni di contrasto alla violenza deve avere un terreno valoriale comune condiviso, un linguaggio ed un sapere uniforme, un quadro interpretativo del fenomeno certo.

 

h.     Da non sottovalutare, inoltre, l’assoluta assenza di misure “rieducative” dell’uomo maltrattante/agente violenza che, invece, risultano essere indispensabili per la responsabilizzazione ed il contributo del maschile nel contrasto ad un fenomeno che riguarda la società e quindi uomini e donne. In quest’ambito diversi sono i progetti sperimentali promossi da associazioni e istituzioni a livello nazionale, in particolare il progetto “Liberiamoci dalla violenza”, promosso dalla Regione Emilia-Romagna presso l’Ausl di Modena, unica struttura pubblica in Italia per il trattamento socio-sanitario degli autori di maltrattamenti intrafamiliari, che si avvale di personale – tutto al maschile – formato ad hoc presso ‘Alternative To Violence’ di Oslo (ATV).

Le Regioni italiane e la rete degli Enti locali sono, di fatto, ancora chiuse in una sorda solitudine nell’affrontare gli effetti pratici di problematiche così gravi, mancando gli strumenti concreti per progredire su un tema strategico non solo per l’avanzamento dei diritti e della società, quanto per la maturazione di una democrazia compiuta; avendo le stesse Regioni necessità di un perimetro legislativo nazionale che consenta l’attuazione concreta di efficaci politiche di parità e antidiscriminatorie.

 

Per raggiungere l’obiettivo di sistema, dunque, come prosecuzione di questo primo passo rappresentato dal decreto legge in via di conversione, la Conferenza delle presidenti degli organismi di pari opportunità regionali offre alle Commissioni oggi riunitesi in seduta congiunta, ai Presidenti e agli Onorevoli presenti, il proprio punto di vista istituzionale e rappresentativo a supporto delle politiche di genere, di parità e contro le discriminazioni, nelle modalità che si converranno più utili e funzionali agli obiettivi politico-istituzionali che il Parlamento vorrà assumere.

 

Avv. Roberta Mori

 

Coordinatrice Conferenza nazionale degli Organismi di Pari Opportunità regionali

 

Roma, 10 settembre 2013