(Bologna, 2 luglio 2013) Oggi, in occasione della seduta di Assemblea, ho depositato un ordine del giorno che invita la Regione a sostenere in ogni sede competente ed occasione pubblica la necessità dell’accertamento della verità storica e l’individuazione delle responsabilità di Stato che portarono alla strage del 7 luglio 1960. Con la firma dei colleghi reggiani del PD, PSI, IdV e Gruppo Misto, più consiglieri di SEL, FdS e Lega, impegniamo Assemblea e Giunta regionali a “sostenere in particolare la necessità di una commissione parlamentare d’inchiesta che disveli nella ricostruzione storica e fattuale tutti gli elementi de iure et de facto che fino ad oggi hanno impedito di fare giustizia in nome del popolo italiano”.

Fra le stragi italiane irrisolte vi è a pieno titolo l’eccidio a Reggio Emilia dei cinque operai che manifestarono durante uno sciopero, indetto dalla Camera del Lavoro, per protestare contro altre violenze compiute nei giorni precedenti. Oltre ai morti, molti furono i feriti sotto i colpi delle forze dell’ordine, una violenza inaudita che non portò mai ad alcuna condanna fra gli imputati né ad una verifica delle responsabilità del governo Tambroni.

Leggi il testo della Risoluzione.L’Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna

Premesso che

secondo il rapporto della polizia dell’epoca, il 7 luglio 1960 la Camera confederale del Lavoro di Reggio Emilia proclamava lo sciopero generale provinciale e iniziava la distribuzione di un manifesto ciclostilato che conteneva, fra l’altro, l’invito a partecipare a una manifestazione che avrebbe avuto luogo alle ore 17 nella sala Verdi della città; la decisione di scioperare era assunta in seguito ai gravi fatti avvenuti a Licata, dove nel corso di uno sciopero unitario erano stati uccisi due giovani lavoratori e a Roma, ove, nel corso di una manifestazione indetta dal Consiglio federativo della Resistenza, erano stati caricati a bastonate i numerosi deputati e senatori presenti; nel manifestino si protestava inoltre contro “l’attacco governativo alla Costituzione e alle libertà democratiche” e si invitavano i lavoratori e i cittadini reggiani a lottare uniti “per far cessare l’intervento della polizia nelle vertenze sindacati, per respingere i rigurgiti fascisti riaffermando i valori della Resistenza” e, infine, “per cacciare il governo Tambroni, per costituire un nuovo governo che accolga e risolva i problemi dei lavoratori”;

sempre secondo il rapporto di polizia, nelle prime ore del pomeriggio del 7 luglio cominciarono ad affluire nella piazza Libertà, antistante la sala Verdi, gruppi di “attivisti” di sinistra, sicché la piazza ben presto fu gremita da circa duemila persone;

Ricordato che

quella manifestazione pacifica di protesta, nata all’insegna dei valori della Costituzione e della Resistenza, si concluse tragicamente; infatti secondo le imputazioni formulate all’epoca dalla Procura della Repubblica, “una guardia di pubblica sicurezza, … contrariamente alle mansioni affidategli e agli ordini ricevuti quel giorno, sparò un colpo di pistola verso Afro Tondelli uccidendolo”; sempre secondo le imputazioni della Procura “un commissario di polizia, dirigente il servizio di ordine pubblico, omettendo per imprudenza, negligenza e imperizia di prescrivere agli agenti posti alle sue dipendenze le modalità di uso delle armi – genere di armi da usare e direzione del tiro – ordinò agli agenti di fare uso delle armi da fuoco, provocando così, per l’uso indiscriminato da parte di alcune guardie, la morte di Emilio Reverberi, Ovidio Franchi, Lauro Farioli e Marino Serri”;

il procedimento penale per questi reati (e per altre imputazioni per riunione sediziosa, resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale a carico di numerosi dimostranti), celebratosi presso la seconda corte di assise di Milano, si concludeva con l’assoluzione del commissario per non aver commesso il fatto e con l’assoluzione della guardia di pubblica sicurezza per insufficienza di prove;

successivamente gli eredi di Afro Tondelli e Lauro Farioli convennero in Giudizio il Ministero dell’Interno per il risarcimento dei danni e il Tribunale di Bologna, territorialmente competente ex art. 25 del Codice di Procedura Civile nel 1969 decise ritenendo la responsabilità civile del Ministero;

Sottolineato che

i martiri del 7 luglio 1960 sono costantemente ricordati dalla comunità di Reggio Emilia come caduti in difesa dei diritti di libertà e democrazia;

nel corso di una delle commemorazioni pubbliche di questo ultimo decennio, la madre ottuagenaria di Ovidio Franchi, scomparsa nel 2003, richiesta di cosa la facesse ancora soffrire ha così esclamato: «Che non ci hanno dato ancora la risposta che vogliamo. Lo abbiamo capito, ma lo vogliamo sapere da loro (in cui quel loro è lo Stato, la Repubblica) da quelli che hanno mandato quelle persone a uccidere i nostri figli. Nessuno si è potuto difendere, loro non avevano armi. Avevano solo la coscienza di andare in piazza a dimostrare quello che pensavano. Purtroppo, anche oggi c’è ancora gente che è al nostro punto e si rischia ancora che accada qualcosa di brutto.»;

nelle parole della mamma di Ovidio, come nel comportamento degli altri familiari delle vittime, non vi è stata traccia di odio, di risentimento o di vendetta, ma vi è una dolorosa e legittima rivendicazione di giustizia morale riparatoria, così come una lezione di impegno civile e di lotta per i valori di libertà, democrazia e giustizia sociale;

le vittime del 7 luglio 1960, causa la sentenza che assolse tutti gli imputati, non hanno mai potuto avere giustizia;

Sottolineato inoltre che

per la revisione del processo sono di impedimento le norme del CPP artt. 629 e 632 che stabiliscono che la revisione può essere richiesta solo da chi abbia subito una condanna ma, d’altra parte, le indagini possono essere riaperte d’ufficio se emergono fatti nuovi, anche alla luce di verifiche mai svolte sulle responsabilità del governo Tambroni, del Ministero dell’Interno e relativa gestione delle forze dell’ordine;

il 28 settembre 2012 il Ministero dell’Interno ha risposto ad una interrogazione presentata quattro anni prima, l’8 ottobre 2008, da tutti i deputati reggiani (Marchi, Alessandri, Barbieri, Castagnetti), sull’esistenza o meno dell’apposizione del segreto di Stato su atti relativi ai fatti del 7 luglio 1960 e l’attuale Ministra della Giustizia, attraverso il sottosegretario Prefetto Carlo De Stefano, ha segnalato che “la documentazione pertinente all’interrogazione di cui è in possesso l’AISE (Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri), non reca evidenza di pregresse apposizioni del Segreto di Stato.”;

recentemente, in un messaggio istituzionale nell’anniversario della mai risolta tragedia del Moby Prince, il presidente del Senato Pietro Grasso ha sottolineato che le «istituzioni e la società civile hanno il dovere di rimanere al fianco di chi è stato colpito da questo tragico evento facendo chiarezza su quanto avvenuto», in particolare augurandosi che «anche il Parlamento sappia contribuire a questo obiettivo, utilizzando tutti gli strumenti a propria disposizione, a partire dalla costituzione di una Commissione d’inchiesta sulle stragi irrisolte del nostro Paese»;

Impegna l’Assemblea Legislativa e la Giunta

A sostenere in ogni sede competente ed occasione pubblica opportuna la necessità dell’accertamento della verità storica e l’individuazione delle responsabilità di Stato che portarono alla strage del 7 luglio 1960;

A sostenere in particolare la necessità di una commissione parlamentare d’inchiesta che disveli nella ricostruzione storica e fattuale tutti gli elementi de iure et de facto che fino ad oggi hanno impedito di fare giustizia in nome del popolo italiano.

PRIMA FIRMATARIA – ROBERTA MORI