(Reggio Emilia, 7 maggio 2013) Nell’ambito della rassegna del Comune “Primavera Donna”, quest’anno dedicata al tema del potere, lo Zonta club International di Reggio Emilia ha organizzato un convegno dal titolo Linguaggio giuridico, linguaggio del potere e linguaggio di genere”, patrocinato dalla Consigliera di parità della Provincia e dalla Commissione per la Parità regionale e accreditato dall’ordine degli Avvocati di Reggio Emilia. Assieme a me nella prima sessione sono intervenute l’Avv. Celestina Tinelli in qualità di Consigliera di Parità, l’assessora Natalia Maramotti, la presidente di Zonta Fulvia Coli, la presidente del Consiglio Notarile di Reggio Maura Manghi e la prof.ssa Cecilia Robustelli di Unimore, che ha svolto un’interessante prolusione sul rapporto fra lingua italiana, genere e linguaggio giuridico.

Zonta International è un’organizzazione di servizio, riconosciuta dall’ONU, costituita da donne impegnate nelle professioni e negli affari che lavorano insieme per migliorare le condizioni della donna nel mondo. Questa iniziativa del Club reggiano ha permesso di analizzare il tema sotto diversi aspetti, davanti a una platea numerosa e composta in gran parte di giuristi, professionisti e docenti, accomunati dalla consapevolezza che il linguaggio è potente, influisce nelle relazioni e nella cultura, contribuisce a determinare il grado di civiltà e di uguaglianza di una società. Da qui la necessità di introdurre anche cambiamenti formali nel suo utilizzo, qual è la dizione di “reato contro la persona” e non più “contro l’uomo” contenuta nel nostro Codice penale. La presidente Fulvia Coli ci ha dato appuntamento fra un anno per fare il punto dei risultati ottenuti, dalla riforma del linguaggio amministrativo e giuridico al potenziamento dei diritti delle donne emiliano-romagnole perseguito con la legge regionale quadro per la parità.

Leggi il mio intervento su “Linguaggio del potere e politico”. Buon pomeriggio a tutti e a tutte. Il mio sarà un contributo esperienziale e non scientifico, rispetto ad un dover essere del linguaggio del potere, e politico, a mio parere non più rinviabile. Le parole sono l’involucro di cui rivestiamo i nostri pensieri e li rendiamo disponibili ad altri, parole fortemente intrise del tempo che trascorre, della società che si trasforma; la vivacità di un linguaggio vivo e pulsante deve essere in grado di porre l’accento sulle nuove realtà che nascono e si consolidano; di descrivere in tutte le sue possibili sfumature, la molteplicità degli aspetti di una società complessa, antica, in continua evoluzione. La tradizione androcentrica, la narrazione connotata al maschile della storia della civiltà ha di fatto fortemente condizionato il linguaggio in generale, ma ancora di più il linguaggio del potere e politico, che le donne hanno ben poco praticato e per questo ben poco  caratterizzato.

E’ del 1993 il primo Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni pubbliche, che ha inaugurato una sequenza di indirizzi ministeriali volti alla semplificazione del linguaggio amministrativo e istituzionale, sfociato poi apertamente nel richiamo alla necessità di usare un linguaggio non discriminatorio (DPR 14 maggio 2007 n. 115 e successiva direttiva 23 maggio 2007 “Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche”).La stessa Unione Europeasta tentando di promuovere azioni significative sul tema del linguaggio paritario, con una difficoltà evidente. Un vademecum di qualche anno fa, “La neutralità di genere nel linguaggio usato al Parlamento Europeo”, ha prodotto più polemiche che effetti positivi.

Si tratta dunque di un processo lento di avvicinamento all’affermazione di una cultura di genere e quindi delle differenze anche nel linguaggio ufficiale, istituzionale, amministrativo, che diventa di rilievo politico quando, ad esempio, viene assunto dal massimo rappresentante dello Stato qual è il Presidente della Repubblica, che ebbe a dire “Le si chiami Ministre e non Ministri”.

Qualunque ricostruzione “storica” possiamo compiere, dimostra per quanto – troppo – tempo il linguaggio maschile sia stato ritenuto inclusivo di tutte le espressioni valutative della società, per quanto tempo sia stata “neutralizzata”, nel senso di resa neutra, la soggettività femminile e quindi nascosta; per quanto – troppo – tempo la nostra cultura di fondo si sia alimentata di una indifferenza per il valore delle differenze che ci ha reso impermeabili, anche politicamente, ad una emancipazione del linguaggio in senso paritario.

Le cose stanno cambiando, ma con grande lentezza. La strategia di oscuramento del genere nel linguaggio ha contribuito a nascondere la rilevanza del genere anche nell’evidenza pubblica e nel linguaggio del potere; conseguentemente nell’agire politico. Lo testimonia la stessa presenza di donne in politica e nelle istituzioni italiane, dove la marginalità culturale è rappresentata nei dati numerici e, in parte, qualitativi. Fino alle ultime elezioni politiche, le donne parlamentari non hanno mai superato la soglia del 20%, standone ben al di sotto in realtà per molti degli anni della nostra storia repubblicana. L’attuale 40% di elette in Parlamento – ma anche le 7 ministre del Governo Letta – è un inedito potenzialmente foriero di profonde trasformazioni legislative e giuridiche in senso paritario, tutto da sperimentare alla prova dei fatti, irto di ostacoli perché coincidente con il minimo storico di autorevolezza della stessa funzione politica.

Un aspetto su cui riflettere. Così come occorre riflettere sulla necessità di affidare alle donne le responsabilità di governo, non solo della rappresentanza, a tutti i livelli territoriali. Non possiamo più permetterci di avere un 10% di donne Sindaco nel nostro Paese, o il 6,9% del totale dei componenti dei Consigli di amministrazione delle società quotate in borsa.

Il sistema comunicativo dai tempi di Aristotele si distingue in tre elementi: c’è chi parla, chi ascolta e ciò di cui si ragiona. Il linguaggio politico si è basato sulla retorica e sulla dialettica, intese come arte di sostenere le proprie ragioni persuadendo l’interlocutore spesso con precise tecniche discorsive e con un confronto serrato. Quando per secoli chi parla e chi ascolta nei luoghi dove si decide è esclusivamente il genere maschile, per forza di cose ciò di cui si ragiona ha prevalentemente una connotazione maschile nella narrazione. Il linguaggio politico diventa realtà politica, dal momento che costituisce il perimetro entro cui si esercita il potere; e se il linguaggio non assume pienamente e convenzionalmente tutte le sfumature della società, contrastando modelli sociali stereotipanti, tradisce il mandato di rappresentanza della verità di una visione del mondo almeno duale.

Ecco perché risulta così importante la presenza femminile nelle istituzioni e in politica: per contribuire in modo fattivo alla democrazia paritaria che ci consegna l’art. 51 della Costituzione, ma al contempo per garantire una rappresentazione autentica dei bisogni di una società moderna. Perché se è vero che il linguaggio politico è sempre meno tecnicistico, risulta essere sempre più declinato sull’individuo e sulle singole personalità che si fanno esse stesse portatrici della narrazione politica, al di là del merito. Diventa ancora più importante quindi un bilanciamento di genere in questa nuova era, dove il protagonismo nei social network e in televisione determina il profilo del linguaggio politico che è anche immagine e rappresentazione che si traduce in modi e stili assai consumistici.

Le proposte politiche diventano un prodotto da collocare sul mercato e da rendere accattivanti, tanto che il linguaggio politico che le accompagna può divenire più insidioso, finanche ambiguo, nonché indulgere nelle debolezze del presente per incassare un immediato consenso, piuttosto che ispirarsi ai punti di forza per costruire il futuro.

In questo senso, il linguaggio politico non sempre coincide col linguaggio del potere. A mio parere il linguaggio politico coincide con il linguaggio del potere solo quando il dichiarato si coniuga con l’agito. Ovvero, quando la narrazione politica si traduce in proposte concrete e percepibili che mutino lo status quo, che producano un cambiamento reale nella società e, vivaddio, un miglioramento nella vita di ciascuno. Per questo quando l’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna ha costituito la Commissione per la Parità che mi onoro di presiedere, ha inteso costituire un punto di trasformazione evidente dell’approccio al genere nelle istituzioni e quindi nella politica istituzionale della nostra Regione; con l’obiettivo di dare un volto e dare sostanza alle politiche di genere, veicolo di una nuova dignità rispetto ad un mondo diseguale, attraverso la spendita diretta del protagonismo degli eletti e delle elette.

La Legge quadro per la parità e contro le discriminazioni di genere, in via di definizione, tratterà

– la Rappresentanza democratica nei luoghi della decisione attraverso correttivi democratici di riequilibrio del genere (non quote leggasi concessione strappata), in particolare la doppia preferenza di genere.

– la Salute e benessere femminile che metta al centro la medicina di genere per una cura ed un’assistenza appropriata di uomini e donne che oggi pecca del presupposto fondamentale, lo sviluppo della ricerca sulle donne che biologicamente diverse spesso reagiscono in modo diverso ai protocolli medici e farmacologici.

– la violenza contro le donne un fenomeno sociale che affonda le radici in una cultura diseguale dei rapporti tra uomini e donne e che affronteremo.

– l’occupazione femminile e dell’indipendenza economica femminile prima forma di emancipazione, autonomia e quindi prevenzione anche per non soggiacere alla violenza economica del partner.

– l’educazione e cultura come ambiti naturali di contrasto agli stereotipi di genere che imprima nei bambini e nelle bambine un profondo rispetto per le diverse caratteristiche di ciascuno.

– la rappresentazione della donna nei media e il contrasto ad un linguaggio evocativo e simbolico che alimenta l’immagine di una donna corredo.

– Il linguaggio e stile delle comunicazioni: La Regione Emilia-Romagna, gli EE.LL. e le amministrazioni pubbliche operano per riconoscere, garantire ed adottare un linguaggio non discriminante, rispettoso dell’identità di genere, identificando sia il soggetto femminile che il maschile in atti amministrativi e corrispondenza, denominazioni di incarichi, funzioni politiche ed amministrative quando sono ricoperti da donne. – A tal fine sarà predisposta idonea formazione al personale che tenga conto di una efficace semplificazione linguistica degli atti e di una redazione fedele ad un linguaggio comprensibile e veritiero oltre che rispettoso del genere. La capacità di raggiungere la revisione del sistema potrà costituire oggetto di valutazione secondo specifici accordi negoziali.

Se dunque è vero che il linguaggio politico è il luogo dove è possibile capire perché le cose avvengono, il dovere del linguaggio politico è quello di uscire dalla retorica dell’oscurità e sforzarsi di fare sempre una sintesi umanistica della complessità dei fenomeni; mai trascurando i presupposti di genere che costituiscono la lente differente di oggi e di domani.