(Gatta di Castelnovo Monti, 13 gennaio 2013) 68 anni sono passati dall’eccidio dei Partigiani del distaccamento “Pigoni” della 26.ma Brigata Garibaldi. Nell’intervento commemorativo, che ho avuto l’onore di pronunciare, ho cercato di rappresentare il valore presente degli ideali che allora guidarono i protagonisti della lotta di Liberazione. Dalla nascita dolorosa della nostra Repubblica e della pace che abbiamo conosciuto, una lezione che dà nerbo e speranza alle scelte di oggi, alla “ricostruzione” necessaria della democrazia, del senso di cittadinanza, della Politica nella sua accezione più nobile di servizio alla polis e al bene comune.

Leggi qui la mia orazione ufficiale.

68° anniversario dell’eccidio di Gatta

8 gennaio 1945 – 13 gennaio 2013

Commemorazione Ufficiale della consigliera regionale Roberta Mori

Un saluto riconoscente a tutte le Autorità presenti, in particolare alle amministrazioni comunali presenti con i loro gonfaloni, alle associazioni Partigiane e dei Deportati della montagna, a tutti gli intervenuti e le intervenute.

In questa importante occasione commemorativa, porto il saluto della Regione Emilia-Romagna che abbraccia con profonda commozione il ricordo delle donne e degli uomini che scelsero di essere giusti, scelsero l’onore, scelsero la libertà, scelsero il sacrificio; le donne e gli uomini che fecerola Resistenza Partigiana, di cui il martirio di Gatta è uno degli episodi che ha segnato la storia e i sentimenti delle nostre Comunità, l’identità stessa del nostro Paese.

Commemorare oggi e sempre l’eccidio dei Partigiani del distaccamento “Pigoni” della 26.ma Brigata Garibaldi significa ricordare, con rinnovata commozione, l’audacia e la generosità di ciascuno di coloro che persero la vita.

Vasco Madini “Fulmine” e Sergio Stranieri “Randa”, i due giovani di guardia sorpresi e uccisi dai tedeschi quella tragica mattina dell’8 gennaio 1945. Aldo Bagni “Nerone”,Angelo Masini“Tonino”, Arturo Roteglia “Ellas”, Manlio Bruno “Costantino”, Ruggero Silvestri “Jena”, Aristide Sberveglieri “Tallin” e Armando Ganapini “Lazzarino”, catturati, portati all’interno della semi diroccata Villa Marta e là torturati ed uccisi. Gino Ganapini “Leone” e Carlo Pignedoli “Mitra”, condotti nelle carceri di Ciano e fucilati il 26 gennaio ‘45.

La storia di ciascuno di loro è la storia di tutti, non di qualche vessillo ideologico. Nel loro sacrificio per un mondo migliore sta la verità profonda della Resistenza su cui si erge il Tricolore, l’aver restituito all’Italia piena dignità di paese libero, l’aver restituito all’Italia un futuro senza inerti e comodi attendismi. Questo è il senso della storia, questo il senso della Resistenza che istituzioni e cittadini sono chiamati a custodire e riaffermare con imperitura determinazione e forza.

In un tempo presente, il nostro, che si presenta orfano di valori assoluti, di esempi fulgidi, di speranze tangibili, i tanti uomini e le tante donne che, giovani e giovanissimi, di fronte all’oppressione di una dittatura e all’occupazione di un esercito nemico, non rinunciarono ai propri ideali, ma li seppero tradurre in gesti concreti di resistenza, libertà e solidarietà, costituiscono la spina dorsale della nostra Repubblica democratica e della pace che abbiamo conosciuto.

La distanza temporale, 68 anni, che ci separa dalla tragica stagione della Resistenza Partigiana si annulla in momenti come questo, veri e non retorici, perché nell’emozione di una singola vita spezzata che quasi possiamo toccare, sentiamo nel profondo il sacrificio di una intera generazione.

Una generazione che non è dietro di noi, ma al nostro fianco nelle scelte di oggi e guida valoriale per il domani. Dimenticarla, e dimenticare chi porta la responsabilità storica e morale di quel sacrificio, sarebbe un colpo mortale alla nostra stessa libertà. Non perdiamo la Memoria di chi siamo se vogliamo dare una prospettiva di giustizia e di pace a chi verrà dopo di noi. Essere qui oggi – alla pari di ogni occasione di rievocazione partigiana e degli eccidi nazifascisti compiuti tra il ’44 e il ’45 – ha l’enorme potere di farci sentire nel profondo chi siamo e chi vogliamo essere.

Tutto questo patrimonio vale in modo particolare nella fase che stiamo attraversando, ove la crisi economica e sociale impone nuove forme di resistenza quotidiana e nuove e inedite progettualità il più possibile condivise. Una fase che non esitiamo a definire di “ricostruzione” della democrazia italiana e della cittadinanza fattiva (non solo attiva), di ricostruzione della Politica nella sua accezione più nobile di servizio alla polis e al bene comune.

L’Europa è l’orizzonte minimo del nostro confronto, è la dimensione di salvaguardia del pieno riconoscimento del nostro protagonismo e delle culture nazionali che compongono l’equilibrio di uno sviluppo comune con lo sguardo rivolto al mondo, è la via maestra per affermare una eredità storica che pur nelle contraddizioni e problemi di questi decenni ci ha garantito un presente di pace.

Quest’ardua sfida richiede il coraggio dei Giusti. Il cui nome è scritto nella colonna portante della democrazia italiana,la Costituzione. E’ infatti la Carta fondante della Repubblica e dell’identità nazionale, entrata in vigore il 1 gennaio1948, acontenere la prima e irrinunciabile eredità morale e spirituale della Resistenza. Ribadirne la modernità, opporsi ancora oggi a quanti ne minano il valore, significa riaffermare i nostri attuali valori volti ad una convivenza democratica e pacifica, sia nel Paese che in Europa.

Se, parlando di fase storica e politica rifondativa, cito la Costituzione, non è dunque con un approccio di ideologica conservazione, bensì in una logica di presidio permanente all’attuazione dei principi che essa contiene e promuove; per scongiurare il rischio che tali principi siano sconfitti da logiche egoistiche, escludenti, populiste promosse spesso da fazioni politiche distruttive mascherate dal nuovo che avanza.

Ognuno di noi è chiamato a contribuire con un sussulto di consapevolezza democratica, messa a dura prova da decenni – ormai – di degrado morale e politico, di falsi miti spacciati per ideali. I protagonisti della Resistenza ci insegnano che non esistono scorciatoie. Quando è il momento, occorre scegliere la direzione del riscatto. Per quanto dura e lunga sia la strada, bisogna imboccarla. Alla fine i frutti arriveranno.

Il lavoro, senza il quale non vi è dignità e benessere.

La legalità, senza la quale non c’è giustizia e neppure sviluppo.

Il diritto universale alla salute, senza il quale non vi può essere uguaglianza.

La scuola pubblica, senza cui non vi è progresso civile.

La coesione sociale e l’integrazione, senza le quali non ci può essere pacifica convivenza.

La centralità della persona e dei suoi diritti fondamentali, senza i quali non ci sarà mai vera libertà.

Tra poche settimane il popolo italiano avrà nelle proprie mani una grande opportunità, partecipare ad una scelta collettiva con un voto politico simile a pochi altri nella nostra storia repubblicana, per la portata stessa di una crisi senza precedenti che richiede tutto l’impegno di cui siamo capaci. In questo senso, desidero riprendere due concetti che Giorgio Napolitano ha espresso nel suo Messaggio di fine anno, il suo ultimo da Presidente della Repubblica, protagonista autorevole di un settennato difficile, nel quale ha dato prova di straordinaria levatura e saggezza politica.

Consideriamoci tutti “umanamente partecipi” dei sempre più numerosi drammi personali e sociali determinati da questa crisi. Rendiamo la nostra politica e pretendiamo dai nostri rappresentanti “questa capacità di condivisione umana e morale”, perché “il rifiuto o il disprezzo della politica non porta da nessuna parte … ma la politica non deve però ridursi a conflitto cieco o mera contesa per il potere, senza rispetto per il bene comune e senza qualità morale.

Cogliamo con occhio attento ciò che ci circonda, cogliamo l’impegno di tanti amministratori pubblici, di tanti volontari, di tante persone perbene autenticamente votate al bene comune, facciamone una ispirazione per ridisegnare la politica, riscrivere il futuro all’altezza delle aspettative delle nuove generazioni, all’altezza del sacrificio dei nostri caduti.

Considero importante sottolineare qui, insieme a voi, che tutte le scelte hanno un’anima e una coscienza; le scelte che compiamo esercitando il nostro diritto di voto come le scelte di chi si propone di rappresentare e governare il Paese. Interroghiamo le nostre coscienze, cerchiamo il senso delle tante parole spesso vuote che ascoltiamo, cerchiamo corrispondenza tra i valori che qui riaffermiamo e chi li saprà meglio interpretare. Scegliamo, partecipiamo, votiamo, rinnoviamo la democrazia con il nostro voto consapevole frutto del sangue di chi è morto per noi.

Chi morì per la Libertà negli anni della Lotta al nazifascismo non ha mai saputo se il suo sacrificio sarebbe stato inutile o avrebbe portato ad un mondo migliore. Noi che abbiamo avuto la fortuna di nascere dopo e di raccogliere i frutti di quelle sofferenze, abbiamo il dovere di non disperderli, e consegnare ai nostri figli gli stessi ideali e la stessa speranza che 68 anni fa hanno salvato l’Italia.

Prima di ogni altra cosa vogliamo o no un’Italia dove ci sia moralità pubblica, sobrietà, rigore della politica, cultura dei diritti? Ebbene, per fare questo dobbiamo essere uniti verso un orizzonte comune, dobbiamo camminare insieme mano nella mano responsabili l’uno del destino dell’altro, ritrovando la gioia della condivisione per una riscossa civica e morale per una Italia giusta.

Permettetemi di concludere con un’immagine di una terra lontana molto più vicina a noi di quello che immaginiamo e che più di tutte rappresenta plasticamente questo cammino da fare insieme.

Un antropologo propose un gioco ad un gruppo di bambini africani. Mise un cesto pieno di frutta accanto a un albero e disse loro che il primo che vi arrivava, avrebbe vinto i dolci frutti. Quando disse ”partenza”, i bambini si presero tutti per mano e corsero verso il cesto, poi si sedettero e gustarono la frutta tutti insieme.

Quando l’antropologo chiese loro il perché corsero tutti insieme, quando solo uno poteva avere tutto per sé, i bambini risposero: “UBUNTU … come può uno di noi essere felice se tutti gli altri sono tristi?”. Nella cultura sudafricana UBUNTU significa “IO SONO PERCHÉ NOI SIAMO”.

E se noi siamo qui ora è anche grazie alla Resistenza e al sacrificio dei Giusti.

Onore ai caduti!!!

W la Resistenza! W l’Italia!