(Bologna, 13 luglio 2012) Oggi in Commissione Parità la Garante regionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Desi Bruno, ci ha riferito sulla presenza femminile nelle carceri dell’Emilia-Romagna. A seguito di un dovuto percorso di approfondimenti e visite che svolgeremo da settembre, proporremo una Risoluzione all’Assemblea su questo tema, per rispondere meglio ad esigenze reali e offrire occasioni di formazione volte all’inserimento lavorativo e al recupero sociale.
Nel merito, sono 142 oggi le donne detenute nei cinque Istituti penitenziari di Bologna (60), Modena, Reggio Emilia, Piacenza e Forlì, di cui il 50% è di nazionalità straniera, a fronte del 70% circa dei detenuti uomini. Spaccio di droga, prostituzione e reati contro il patrimonio sono i reati commessi in prevalenza. La Garante ha evidenziato come alle donne detenute si associno molte situazioni di abbandono dei figli, con il forte rischio di fenomeni depressivi nonché della perdita della potestà genitoriale, segnalando la necessità di rendere concrete le varie forme di custodia attenuata previste. Già la legge 40/2001 ha cercato di porre rimedio, imponendo di non applicare la custodia cautelare in carcere alle donne incinte o con prole di età inferiore a 3 anni e allargando le maglie delle misure alternative. La Legge 62/2011 ha portato a 6 anni il limite di età dei minori perché possano rimanere con le madri e dato facoltà al giudice di disporre la custodia cautelare presso istituti a custodia attenuata, ma purtroppo tale norma resta inattuata. Occorrono poi luoghi idonei all’incontro periodico fra genitori e figli e appositi spazi dedicati ai bambini.
Molte delle donne detenute sono sieropositive e/o tossicodipendenti e solo grazie al passaggio delle prestazioni al Servizio sanitario regionale stanno crescendo le attività di prevenzione e cura. In una fase di continua riduzione dei finanziamenti, però, la situazione va peggiorando rispetto alle opportunità di istruzione superiore, formazione professionale e attività lavorative, proprio ciò che serve maggiormente al recupero e reinserimento.
Significativi alcuni dati sulla situazione nei CIE, i Centri di Identificazione ed Espulsione. In quello di Bologna, ad esempio, la presenza femminile è assai rilevante: dal primo gennaio ad oggi sono transitate 127 donne (tra cui 10 cinesi, che non vengono neppure riconosciute dal loro Paese). La quasi totalità non ha commesso reati, se non la presenza irregolare sul territorio, che sempre più spesso è dovuta alla perdita del posto di lavoro. Infine, da citare, sostenere ed estendere esperienze come quella di “Gomito a Gomito”, laboratorio di sartoria dove lavorano sole detenute del carcere della Dozza di Bologna. Tutti i prodotti confezionati sono legati dallo stesso filo conduttore: recuperare, attraverso idee originali e sempre nuove, materiali considerati di scarto, per dare ad essi una seconda vita.
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