(Roma, 30 marzo 2012) Perché organizzare una conferenza nazionale sulla Giustizia quando l’agenda politica e mediatica è tutta presa da altro? Ebbene, di fronte allo stop del PDL (o di quel che ne rimane…) e alla timidezza del governo ad affrontare il tema, il Partito Democratico non ha dubbi: tanta parte della crisi che ci attanaglia si chiama illegalità e la riforma del sistema giudiziario, così come delle norme anti-corruzione, rappresentano un’urgenza per il Paese al pari del lavoro e del rigore dei conti pubblici.

Quattro sono secondo noi le emergenze da risolvere: la corruzione appunto, il deficit di efficienza, la razionalizzazione amministrativa degli uffici giudiziari e delle carceri e l’arretrato nel civile. Su ogni punto il PD ha da tempo elaborato e presentato delle proposte forti e concrete e venerdì scorso le abbiamo rilanciate, anche alla presenza del Ministro Severino che è intervenuta per un saluto. Nel merito, basti dire che la lentezza della giustizia civile costa alle imprese circa 2,3 miliardi di euro, oltre a rendere poco attrattivi gli investimenti esteri. Tale inefficienza, indebolendo l’applicazione di sanzioni tempestive, costituisce un incentivo a porre in essere comportamenti opportunistici da parte dei debitori, e finisce per influenzare la qualità del credito in termini di rigidità nei prodotti bancari, aumento dei costi di intermediazione, minore redditività degli intermediari finanziari, richiesta di maggiori garanzie. Una priorità indiscussa è poi l’attuazione della Convenzione di Strasburgo sulla corruzione del 27 gennaio 1999, approvata solo qualche giorno fa dal Senato, dato che questo fenomeno dilagante ci costa 60 miliardi l’anno!

In questo quadro, il Partito Democratico ha l’ambizione di incidere profondamente nell’assetto talvolta autarchico delle componenti più operative dell’organizzazione della giustizia e della sicurezza, facendo leva su un efficientamento non di facciata e promuovendo collaborazioni fortemente integrate tra i vari soggetti. Il tutto nel pieno rispetto dell’autonomia del terzo potere costituzionale dello Stato e nella consapevolezza dell’importanza di non cedere sul fronte della cultura alla legalità, presupposto di una partecipazione sostanziale dei cittadini alle riforme.