con la presidente di A.P.E. Marisa Di Mizio

(Parma, 10 marzo 2012) L’endometriosi è una malattia che riguarda 176 milioni di donne nel mondo, di cui più di 3 milioni solo in Italia, dove circa il 14% di ricoveri ospedalieri per patologie femminili sono riconducibili all’endometriosi e 54 milioni di euro annui come costi di ospedalizzazione, tralasciando i costi per i farmaci ed i costi indiretti per le giornate di lavoro perse (da 3 a 7 gg al mese). “Endometriosi, ricerca medica e riconoscimento sociale” è il titolo del Convegno nazionale organizzato dall’Associazione Progetto Endometriosi (A.P.E.), che si è tenuto sabato presso la Sala Aurea della Camera di Commercio di Parma per fare il punto e approfondire problemi e proposte.

Parliamo di una patologia femminile di origine genitale e connessa alle mestruazioni, spesso di interesse multi-organo e multi-apparato con diversi risvolti sintomatologici, funzionali e psico-sociali. Il programma scientifico svolto durante il Convegno, con il contributo dei più accreditati specialisti e ricercatori di questo segmento della medicina di genere, ha trattato l’impatto della malattia sull’attività lavorativa, sulla fertilità, sulla psiche delle donne e la difficoltà di diagnosticarla per tempo e con precisione, ritenendone non più prorogabile un riconoscimento sociale da parte del sistema sanitario nazionale e delle istituzioni.

Nel corso della tavola rotonda “Le donne della politica e le donne con endometriosi si confrontano”, la sen. Laura Bianconi ha aggiornato gli oltre 400 presenti sullo stato dell’arte in Parlamento relativo alla costituzione del registro nazionale, mentre io e la collega Monica Donini abbiamo riferito dell’impegno assunto dalla Regione Emilia-Romagna di mettere in rete le strutture che già trattano la malattia, così come i percorsi diagnostico-terapeutici volti ad una diagnosi precoce, unitamente all’elaborazione di linee guida appropriate da parte di un gruppo tecnico regionale che abbiamo costituito. Il tutto senza dimenticare l’importanza di promuovere la cultura di genere nella medicina, per consentire non solo una prestazione sanitaria appropriata e personalizzata, ma anche rispettosa delle profonde differenze biologiche e socio-culturali che caratterizzano i diversi generi.